mercoledì 10 settembre 2025

Il Mitreo di Marino

 

 Al pari di Roma (pal. Barberini) e Santa Maria Capua Vetere, anche Marino (Castelli romani) custodisce un interessantissimo Mitreo dedicato al culto pagano di Mitra, dio del cosmo, della luce e della guerra.

Mitra, divinità dell’induismo e della religione persiana, entra nella storia con l’espandersi dell’Impero romano nel 1° secolo d. C. portando con sé riti di iniziazione di natura esoterica, culturale e religiosi. Il dio era spesso accomunato ad Apollo o alla divinità  solare Elio. Il sacrificio caratteristico di questo culto era la tauroctomia  e cioè l’uccisione del toro.

La scoperta del Mitreo di Marino, sito dall’importante valore artistico ed  archeologico, avvenne in maniera assolutamente casuale nel 1960 durante uno scavo effettuato per la realizzazione di una cantina con annessa grotta per la conservazione del vino.

  Il Mitreo era stato realizzato con le caratteristiche costruttive delle cisterne romane: ricavato in una preesistente cisterna d’acqua con  volta a botte scavata  nella pietra locale, il Peperino, con pareti rivestite da intonaco di coccio pesto.

Sulle pareti laterali sono raffigurati i dadofori, Cautes con la fiaccola alzata verso il cielo e Cautopates con la fiaccola abbassata verso terra; sul pavimento restano ancora tracce dei podia per gli iniziati che assistevano ai riti misterici.

Sulle pareti, poi, rimangono piccole nicchie per l’alloggiamento di lucerne che servivano per l’illuminazione. La galleria così formata è lunga circa 30 metri e termina con un dipinto famosissimo e  ben conservato.

E’ rappresentato Mitra che vestito all’orientale con berretto frigio, tunica e calzoni rossi appare nel momento che taglia la gola ad un toro bianco ed un cane, un serpente e uno scorpione che partecipano alla uccisione dell’animale. Dalla coda del toro spuntano alcune spighe di grano, simbolo della rinascita della terra.

 

 







 

 

martedì 9 settembre 2025

La Rievocazione storica della Fiera di Grottaferrata


Rievocazione storica della Fiera di Grottaferrata







Ha luogo in questo principio di settembre (6-7, 14-15) a cura dell’associazione “Ce steva ‘na vota” la Rievocazione Storica della famosa Fiera di Grottaferrata, che ebbe origine nell’anno 1000 -1100 quando folle di fedeli e mercanti si recavano in visita all’Abazia di San Nilo e lì si scambiavano beni e prodotti enogastronomici, manufatti artigianali e artistici.

La Rievocazione storica è un evento che celebra sia San Nilo, patrono della città castellana, sia le tradizioni della comunità, in un contesto di cortei, danze in costume, cibo e musica popolare.

La manifestazione trasforma il Fossato dell’abazia in un palcoscenico di emozioni, cultura e folklore. con la dimostrazione di antichi mestieri artigiani: fabbri, tessitori, falegnami, vasai, ecc. che riportano in vita tecniche di lavorazione del tempo come ad esempio la produzione della carta. Non manca la cucina locale e tanta musica folk, balli di gruppo e canti.

 

Attualmente la moderna Fiera Campionaria di Grottaferrata ha luogo all’inizio della primavera (marzo, aprile). Nel tempo la sua importanza è tanto cresciuta che negli anni sessanta del secolo scorso è stata riconosciuta come Fiera Nazionale specializzata nella promozione e commercializzazione di macchine agricole e si è arricchita di vari settori legati specialmente all’agricoltura e all’enogastronomia. Offre una vetrina delle eccellenze locali e delle attività artigianali. Nel secolo scorso esponeva anche competenze legate alla conservazione e restauro di libri antichi, attività che costituiva un’arte unica e preziosa svolta fino a pochi decenni fa dai monaci dell’abazia.

La Rievocazione storica, quindi, è un evento da non perdere


























 


giovedì 4 settembre 2025

Tuscania ed un impressionante incontro nella sua necropoli







Ho di recente visitato la necropoli di Tuscania, cittadina laziale di  origini etrusche in provincia di Viterbo.
La necropoli si trova nei pressi di una piccola chiesa rinascimentale e si sviluppa su tre gradoni lungo il pendio, al primo livello si trova la famosa Grotta della Regina, subito al di sotto un gruppo di tombe a camera di epoca arcaica e all’ultimo livello le tombe della Famiglia Curunas e la Tomba del Sarcofago delle Amazzoni di epoca ellenistica.
La necropoli è stata oggetto di scavi archeologici condotti dalla famiglia Campanari di Tuscania agli inizi dell’ottocento.
Gli ipogei hanno un impianto monumentale ben visibile dalla valle dove scorre il fiume Marta, e testimoniano l’importanza sociale ed economica della famiglia Curunas. A confermarlo sono gli oggetti rinvenuti che costituiscono un raro e prezioso esempio di corredo funerario etrusco, come i raffinatissimi bronzi, un sontuoso servizio da mensa oltre ad una pregevole serie di ceramiche a figure rosse ora conservati al Museo Archeologico di Tuscania.


Molto suggestiva è la Grotta o Tomba della Regina. Prende il nome dalla leggenda narrata dall’archeologo Secondiano Campanari secondo cui al momento della scoperta su una parete della tomba venne vista l’immagine dipinta di una fanciulla, forse una giovane regina, immagine dissoltasi poco dopo.

La Grotta fu resa famosa soprattutto dai racconti di viaggio dello scrittore inglese G. Dennis del 1842 e la sua notorietà è dovuta soprattutto alla sua particolare e complessa planimetria contraddistinta dalla presenza di numerosi cunicoli che si dipartono in più direzioni e si sviluppano su tre livelli. Il loro significato resta ancora da spiegare perché la struttura dell’ipogeo è completamente differente dalle altre tombe e ne fa supporre l’utilizzo come luogo di culto.

Nel corso della visita sono stato attratto da una strana farfalla che posata su di una foglia sembrava non accorgersi dell’inevitabile scompiglio che la visita le arrecava. Sul suo dorso, lugubri e grandi ali nere ed in più, strane macchie bianche che con un minimo di fantasia richiamavano l’immagine di ossa umane. Una figura che incuteva paura. Incredibile!


Al rientro a casa  ho consultato enciclopedia ed ho appreso che si trattava dell’Arctia Villica (Linnaeus 1758), un lepidottero particolarmente attivo  di notte, chiamato anche Sfinge dalle ossa di morto.

Nel testo consultato ho letto anche che le farfalle hanno una potente simbologia, son considerate metafore viventi di tutto ciò che è effimero e incostante, nell’arte poi le farfalle sono simbolo della spiritualità dell’anima, capace di liberarsi dalla materia bruta così come le loro crisalidi si liberano dal  bozzolo.

Anticamente le farfalle erano collegate al culto di Moira, la dea della rigenerazione, simbolo di morte e resurrezione. Per i popoli antichi come Romani, Greci, Celti e dell’Irlanda e per gli Aztechi era diffusa la credenza che le anime dei morti si tramutavano in farfalle così come in Italia si ritiene che le anime dei morti trasmutate in farfalle si avvicinano ai luoghi della loro vita.

 Quindi, dopo queste letture come non pensare, anche se per un momento, che quella strana farfalla incontrata sulla tomba della Regina ospitasse l’anima di quella graziosa fanciulla che, disturbata dagli archeologi durante i loro scavi, aveva inspiegabilmente fatto dissolvere la sua immagine. Era sì scomparsa dagli affreschi della parete ma il suo spirito restava ancora vigile sotto forma di farfalla a sorvegliare la sua dimora.

Forse la suggestione del posto, l’oscurità di quei cunicoli sotterranei, quelle nicchie che un tempo accoglievano persone defunte, la leggenda della fanciulla la cui immagine si era inspiegabilmente dissolta e la presenza di una lugubre farfalla definita, per altro, “Sfinge dalle ossa di morto”, mi hanno particolarmente colpito e, non lo nascondo, un tantino impaurito. 
 
 



 

giovedì 7 agosto 2025

Nicola Maria Magaldi nel libro di Giuseppe Aloisio




Una lettera - recensione al libro.

Caro Pinuccio, sarebbe stata mia intenzione scriverti subito dopo aver ricevuto via e-mail l’anteprima del tuo libro sulla vita e ed il vissuto di Nicola Maria Magaldi (1822-1861), politico e patriota lucano, ma, la difficoltà di leggere su di uno schermo di computer hanno vanificato il mio proposito.
Innanzi tutto grazie per avermi inviato il libro in versione cartacea e per aver pensato a me. Anche io ho vivo l’interesse ad approfondire fatti e storie che alla luce degli avvenimenti che si sono susseguiti hanno offerto spunti per la interpretazione diverse da quelle canonizzate dai libri di storia.
Ho letto con molto interesse il tuo libro che, per la chiarezza dell’esposizione dei fatti narrati, nella serenità del giudizio per la valutazione degli episodi, con stile sobrio ed incisivo hanno reso la lettura scorrevole ed interessante.
Ho molto apprezzato l’impegno che hai posto nella ricerca della documentazione e nella ricostruzione degli eventi storici, di talché il libro costituisce a mio avviso un’importante pagina di storia risorgimentale della nostra regione, la Basilicata, ed un contributo offerto al lettore affinché questi possa approfondire ed esprimere, alla luce degli eventi storici che si sono susseguiti nel corso di ben centocinquant’anni, un personale ed obiettivo giudizio. La storia, infatti, ha una profonda valenza culturale, ci insegna da dove veniamo, le nostre radici, su quali valori morali e civili si basa la nostra società. “La storia, come ci ricorda Cicerone, è “testimonianza del passato, luce di verità, via della memoria, maestra di vita, ……..”

Nel tuo libro appare chiara e limpida la figura di Nicola Maria Magaldi, uomo di eccelso spessore culturale, politico animato da profondo amor di patria che seppe interpretare e rappresentare nelle istituzioni in cui fu chiamato a svolgere ruoli importanti, le istanze della comunità lucana in un delicato momento in cui la declinante monarchia borbonica cedeva il passo alla nascente unità nazionale.
Uomo  che amava profondamente la nostra terra e onesto liberale che non approfittò minimamente della propria posizione come uno degli artefici della insurrezione della Lucania e della costituzione del suo governo provvisorio. Dopo averne fatto parte come segretario lasciò ogni incarico e ritornò alla sua vita di avvocato.
Purtroppo la rivoluzione liberale della Lucania si rivelò una rivoluzione a metà in quanto il conservatorismo dei nuovi governanti deluse le aspettative della grande massa della popolazione conservando lo status quo”, facendo nulla per migliorarne la condizione di estrema povertà ed oppressione, per innalzarne il livello di istruzione, per promuovere riforme sociali ed economiche, per favorire la mobilità collegando, grazie ad opportune infrastrutture, le zone interne con il resto della regione e con le regioni limitrofe al fine di favorire gli scambi ed il commercio.
Tutto ciò non fece che inasprire gli anime delle masse che non riscontravano miglioramento alcuno nelle loro misere condizioni di vitae di lavoro, anzi si sentivano ancora più oppresse.
Nicola Maria Magaldi, come altri liberali che erano stati ispiratori e promotori della rivoluzione, rimase colpito dai moti di ribellione delle masse contadine che diedero origine al brigantaggio che caratterizzò la storia della Lucania per un decennio.
Il suo essere un convinto ed onesto liberale lo avrebbe sicuramente portato ad operare politiche più favorevoli al benessere della popolazione e non già, come accadde a tradirne le aspettative, dopo suscitate con promesse di giustizia sociale.
Tanta stima godeva da parte della popolazione che venne eletto a grande maggioranza consigliere provinciale per il mandamento di San Chirico Raparo, incarico che non riuscì neppure ad intraprendere dal momento che la morte lo colse a soli 39 anni di età.

 Le vicende della vita di Nicola Maria Magaldi offrono non pochi spunti e parallelismi con quella del mio avo Francesco Paolo Castronuovo che anch’io ho raccontato nel mio libro (1) , vissuto nel vicinissimo Carbone,  nel medesimo periodo storico e, come il protagonista del tuo libro, annoverato da Tommaso Pedio tra i patrioti lucani. Si distinse per essere stato un valente giurista, letterato, per la nobiltà dei suoi ideali e trasparenza di vita. Si prodigò e lottò per quello che credeva essere il bene della sua comunità e per realizzare un’Italia migliore. Anche il mio avo, come ti è noto, subì persecuzioni dall’opprimente polizia borbonica; anch’egli partecipò attivamente ai moti insurrezionali del 1948 subendo più volte condanne per aver fomentato la rivolta di operai e dei contadini che rivendicavano l’usurpazione delle terre da parte dei baroni e dei latifondisti.
Caro Pinuccio, scrivo queste poche righe per complimentarmi del tuo lavoro ed esprimerti i sensi della mia stima ed amicizia.

Pino Ferrara

      Nota 1   Francesco Paolo Castronuovo - giurista, letterato e patriota lucano









lunedì 4 agosto 2025

La Base geodetica di padre Angelo Secchi






A pochi passi dalla Tomba di Cecilia Metella sull’Appia Antica è posta una lapide che ricorda la scoperta scientifica dello scenziato Angelo Secchi che nel 1855 aveva individuato in quel luogo il punto trigonometrico che, insieme all’altro posizionato sempre sull’Appia antica in località Frattocchie, costituiva la base geodetica sulla quale fu poi verificata la Rete Geodetica Italiana.







Gli studi erano stati già condotti nel 1751 dallo scenziato Boscovich ma non erano stati portati a termine perché non erano stati identificati i punti trigonometrici fondamentali
Angelo Secchi fu un famoso astrofisico che condusse importanti scoperte nel campo della spettrografia; è sua la classificazione spettrografica della luce delle stelle. La scoperta si basava sull’osservazione della loro luce che, analizzata con l’ausilio di un prisma ottico, veniva associata e collegata alla temperatura dei corpi celesti da cui era emanata. 

Nel periodo in cui lo scenziato fu direttore dell’osservatorio del Collegio Romano, tra l’altro,determinò la differenza  di longitudine tra il suo osservatorio e quello di Napoli presso la reggia di Capodimonte, collegando così Roma con i meridiani fondamentali del globo terrestre.