domenica 2 maggio 2021

“La Peste” di Albert Camus


   un capolavoro della letteratura contemporanea che narra una storia che ha molte analogie con quanto accade oggi nel mondo
 
 

 
 
 Ho da poco finito di leggere il romanzo di Albert Camus “La Peste”.  
Ne avevo sentito parlare ma del romanzo avevo letto solo qualche recensione. La lettura mi ha coinvolto e molto impressionato per le tante analogie, coincidenze ma anche discordanze che ho trovato con la grave epidemia da corona virus che va diffondendosi in tutto il mondo - un virus sconosciuto e subdolo che si propaga facilmente e sembra non arrestarsi, lasciando al suo passaggio molte vittime.
La lettura del romanzo lascia nel lettore un forte sentimento di angoscia e frustrazione per gli argomenti trattati, a volta molto crudi e di forte impatto emotivo, che fanno riflettere sulla caducità della vita umana, esposta da un momento all’altro a mali sconosciuti.  
L’autore racconta di un’epidemia di peste abbattutasi su Orano, una cittadina costiera dell’Algeria; descrive l’incredulità, la preoccupazione, il panico e successivamente la rassegnazione degli abitanti per un inatteso catastrofico evento che ha trovato le autorità sanitarie impreparate a gestirlo.
Attraverso il diario del dottor Rieux, eroico medico coinvolto in prima persona nell’assistenza dei tanti malati, l’autore fa rivivere i drammatici momenti in cui il flagello della peste si abbatte e travolge migliaia di vite umane. Descrive la drammatica evoluzione dell’epidemia, dal primo segno premonitore della diffusione del virus, la moria dei ratti, ignari diffusori del contagio, fino al momento in cui il male viene sconfitto non prima però di aver causato migliaia di morti, senza distinzione di età, sesso e condizione sociale.
Proseguendo nella lettura del libro si assiste all’autoregolamentazione dei comportamenti della gente impaurita ed alla sua altalenante emotività, al susseguirsi incessante dei bollettini sanitari, diramati con cadenza giornaliera, delle ordinanze prefettizie di chiusura e distanziamento sociale, della descrizione delle inquietudini per l’incertezza della durata dell’epidemia. C’è anche la rappresentazione dei gesti di solidarietà dei volontari del soccorso e l’eroico sfinimento dei medici. Si assiste anche alla tristezza della sofferenza e morte dei bambini e dei funerali negati.
Il protagonista del romanzo, il medico Rieux, nel suo diario, annota giorno per giorno la cronaca dell’epidemia: i sintomi, la lotta contro il male, la disperata ricerca di un antidoto e le sofferenze della gente comune. Altri personaggi, di cui Camus descrive la personalità, affiancano e sostengono Rieux nella lotta contro il male: Rambert, il giornalista, che, con spirito di sacrificio ed altruismo, rinuncia ad allontanarsi dalla città per raggiungere la donna amata; il sacerdote Paneloux che vede nell’epidemia un castigo di Dio e cerca di darne una spiegazione metafisica; Arrou, l’intellettuale, che inizialmente assiste passivamente agli avvenimenti che sembra non accettare, ma che in seguito si impegna volontariamente nella dura battaglia; Grand, l’impiegato comunale, che tiene sotto controllo la contabilità dei morti, dei contagiati, dei guariti; infine Cottard che vive di espedienti e, nel torbido, prospera lucrando con la borsa nera ma temendo che presto si possa tornare alla normalità.
Finalmente l’epidemia ha termine, lasciando dietro di sé una scia di morti, di vite spezzate, le macerie di una città sconvolta nei rapporti umani dei suoi abitanti.
Differenti sono gli atteggiamenti dei personaggi della storia di fronte all’epidemia. Paneloux, colpito anche’egli dalla peste, non cerca aiuto nella scienza, ma aspetta la  triste sorte affidandosi completamente a Dio. Tarrou, dopo aver militato in un partito contro la pena di morte, lascia l’azione politica per evitare di contagiarsi; egli infatti sostiene che la peste è nella politica, nelle logiche totalitarie, nella menzogna e nell’orgoglio. Rieux che compie atti di dedizione verso il prossimo sofferente, mettendo a frutto le proprie conoscenze, già maturate in circostanze analoghe, per combattere l’epidemia.
Il romanzo ha termine con una scena memorabile ed emblematica che invita il lettore alla riflessione. Rieux  ascolta le grida di esultanza della gente che si leva dalla città, ormai liberata dal flagello della peste, ed osserva in cuor suo che quell’esultanza è destinata ad essere sempre minacciata. Si rende conto, infatti, che la folla in festa ignora, che “ il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decenni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere da letto, nelle cantine, nelle valigie, nei fazzoletti e nelle carte, e che forse sarebbe venuto il giorno in cui, per disgrazia e monito agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi e li avrebbe mandati a morire in una città felice”.
Con queste parole, pronunciate dal protagonista del romanzo, Camus vuole ammonirci contro la tentazione di pensare di aver realizzato una società perfetta, quella in cui il male sia definitivamente estirpato, raccomandando di essere sempre vigili e non abbassare mai la guardia.