domenica 28 febbraio 2021

Tuscania ed un impressionante incontro nella sua necropoli







Ho di recente visitato la necropoli di Tuscania, cittadina laziale di  origini etrusche in provincia di Viterbo.
La necropoli si trova nei pressi di una piccola chiesa rinascimentale e si sviluppa su tre gradoni lungo il pendio, al primo livello si trova la famosa Grotta della Regina, subito al di sotto un gruppo di tombe a camera di epoca arcaica e all’ultimo livello le tombe della Famiglia Curunas e la Tomba del Sarcofago delle Amazzoni di epoca ellenistica.
La necropoli è stata oggetto di scavi archeologici condotti dalla famiglia Campanari di Tuscania agli inizi dell’ottocento.
Gli ipogei hanno un impianto monumentale ben visibile dalla valle dove scorre il fiume Marta, e testimoniano l’importanza sociale ed economica della famiglia Curunas. A confermarlo sono gli oggetti rinvenuti che costituiscono un raro e prezioso esempio di corredo funerario etrusco, come i raffinatissimi bronzi, un sontuoso servizio da mensa oltre ad una pregevole serie di ceramiche a figure rosse ora conservati al Museo Archeologico di Tuscania.


Molto suggestiva è la Grotta o Tomba della Regina. Prende il nome dalla leggenda narrata dall’archeologo Secondiano Campanari secondo cui al momento della scoperta su una parete della tomba venne vista l’immagine dipinta di una fanciulla, forse una giovane regina, immagine dissoltasi poco dopo.

La Grotta fu resa famosa soprattutto dai racconti di viaggio dello scrittore inglese G. Dennis del 1842 e la sua notorietà è dovuta soprattutto alla sua particolare e complessa planimetria contraddistinta dalla presenza di numerosi cunicoli che si dipartono in più direzioni e si sviluppano su tre livelli. Il loro significato resta ancora da spiegare perché la struttura dell’ipogeo è completamente differente dalle altre tombe e ne fa supporre l’utilizzo come luogo di culto.

Nel corso della visita sono stato attratto da una strana farfalla che posata su di una foglia sembrava non accorgersi dell’inevitabile scompiglio che la visita le arrecava. Sul suo dorso, lugubri e grandi ali nere ed in più, strane macchie bianche che con un minimo di fantasia richiamavano l’immagine di ossa umane. Una figura che incuteva paura. Incredibile!


Al rientro a casa  ho consultato enciclopedia ed ho appreso che si trattava dell’Arctia Villica (Linnaeus 1758), un lepidottero particolarmente attivo  di notte, chiamato anche Sfinge dalle ossa di morto.

Nel testo consultato ho letto anche che le farfalle hanno una potente simbologia, son considerate metafore viventi di tutto ciò che è effimero e incostante, nell’arte poi le farfalle sono simbolo della spiritualità dell’anima, capace di liberarsi dalla materia bruta così come le loro crisalidi si liberano dal  bozzolo.

Anticamente le farfalle erano collegate al culto di Moira, la dea della rigenerazione, simbolo di morte e resurrezione. Per i popoli antichi come Romani, Greci, Celti e dell’Irlanda e per gli Aztechi era diffusa la credenza che le anime dei morti si tramutavano in farfalle così come in Italia si ritiene che le anime dei morti trasmutate in farfalle si avvicinano ai luoghi della loro vita.

 Quindi, dopo queste letture come non pensare, anche se per un momento, che quella strana farfalla incontrata sulla tomba della Regina ospitasse l’anima di quella graziosa fanciulla che, disturbata dagli archeologi durante i loro scavi, aveva inspiegabilmente fatto dissolvere la sua immagine. Era sì scomparsa dagli affreschi della parete ma il suo spirito restava ancora vigile sotto forma di farfalla a sorvegliare la sua dimora.

Forse la suggestione del posto, l’oscurità di quei cunicoli sotterranei, quelle nicchie che un tempo accoglievano persone defunte, la leggenda della fanciulla la cui immagine si era inspiegabilmente dissolta e la presenza di una lugubre farfalla definita, per altro, “Sfinge dalle ossa di morto”, mi hanno particolarmente colpito e, non lo nascondo, un tantino impaurito. 
 
 



 

venerdì 26 febbraio 2021

UNA PASSEGGIATA A VIA DEI CERCHI

 

 

Il turista che, dopo aver visitato il grandioso ed interessante sito archeologico del Palatino, percorre Via dei Cerchi in direzione di Santa Maria in Cosmedin, non può non notare un’insolita facciata, leggermente concava, appoggiata ad un casale, rimanendone affascinato per i tanti elementi che richiamano ricordi di storia dell’arte. Il manufatto, realizzata a metà del 1500 da Girolamo Rainaldi, forse con l’intento di nascondere un casale e ciò che restava dell’antica chiesetta di Santa Maria dei Cerchi, si sviluppa in un gioco architettonico di pieni e vuoti, ottenuti da vistosi finestroni, variamente incorniciati da stucchi e due porte ornate dai gigli farnesiani. L’effetto è magnifico, un fondale scenografico, una quinta teatrale che sembra fatta apposta per nascondere il casale ed i ruderi della chiesa. Alla sommità della struttura una grossa mano che alza l’indice al cielo.

 


 

E’ chiamata la “mano di Cicerone” ma non è dato conoscere cosa ne avesse a spartire costui. Ho letto invece che la mano è un elemento recuperato della demolita chiesetta di Santa Maria ad manu, sulle cui mura veniva indicato il prezzo del vino: “un bajocco a fojetta”.

Notizia alquanto bizzarra questa: perché una chiesa cristiana aveva anche la funzione di  indicare il prezzo del vino? Perché l’architetto che realizzò la facciata ritenne tanto importante la mano da inserirla tra i suoi elementi decorativi, ponendola sulla sommità della struttura e conferendo a quel dito rivolto verso il cielo un significato alquanto esplicito, quasi un simbolo massonico?

 


Nei pressi di Via dei Cerchi (cerchi è la corruzione del termine circo da Circo Massimo), era ubicato il “lupercale” in cui vennero allattati dalla mitologica lupa Romolo e Remo, antichi fondatori di Roma; in epoca più recente, alla fine del 1500 tutta la zona tra il Circo Massimo ed il Palatino fu acquistata dalla famiglia Farnese, che la trasformò in uno splendido giardino, gli “horti farnesiani”, che insistevano intorno alla sontuosa villa di Alessandro Farnese, nipote di Paolo III, realizzata dall’architetto Alessandro Algardi.

Nel XVI secolo, in seguito ad un evento miracoloso legato all’immagine sacra della Vergine, originariamente collocata nella chiesa di Santa Maria ad manu, che prese a sanguinare perché oltraggiata da alcuni ebrei, la famiglia Cenci, in segno di devozione, finanziò la costruzione della chiesa di Santa Maria dei Cerchi per ospitarvi l’icona sacra ed ivi creare un luogo di preghiera per i fedeli.

Di tale chiesa oggi rimane solo  l’abside in quanto nei primi decenni del 1900, l’ampliamento di Via dei Cerchi rese necessario demolire ciò che restava della chiesa, già sede della congregazione dei Padri Olivetani.

La struttura (la facciata ed il casale) è stata proprietà degli Olivetani fino a quando, qualche anno fa, è stata rilevata dalla Boscolo Hotel e trasformata in un lussuoso e scenografico bed&breakfast con tanto di ristorante stellato, il Garum.