mercoledì 23 settembre 2020

Gaeta e Marino due città unite nel ricordo della Battaglia di Lepanto



Vasari, La battaglia di Lepanto

A Marino, piccola cittadina dei castelli romani, nei primi giorni del mese di ottobre, oltre alla ormai celebre Sagra dell’uva, celebra la ricorrenza della vittoria della Battaglia di Lepanto sui Turchi quando nel mare greco del golfo di Lepanto la flotta pontificia guidata dal principe di Marino, Marcantonio Colonna riuscì a sgominare le navi turche e fermare definitivamente l’avanzata dei saraceni in Europa.
Da anni le navi turche depredavano e razziavano le coste del Mediterraneo, arrivando persino nel 1529 ad assediare Vienna. L’invasione dell’isola di Cipro, i massacri lì perpetrati ed addirittura la profanazione della tomba dell’apostolo Barnaba (oggi patrono di Marino) costituì la goccia che fece "traboccare il vaso" e scatenare il decisivo scontro navale tra la flotta turca e quella della Santa Lega avvenuto il 7 ottobre del 1571.
Le raccapriccianti notizie che giungevano da Oriente, infatti, avevano indotto il pontefice Pio V, di fronte al comune pericolo, a trovare un’intesa tra gli stati cattolici gli spagnoli, i veneziani, gli austriaci, i veneziani, i genovesi per fermare l’avanzata dei turchi in Europa. Si costituì allora la Santa Lega a cui fu preposto come supremo comandante don Giovanni d'Austria e come ammiraglio della flotta pontificia Marcantonio Colonna.
 
Il pontefice nel benedire la partenza della flotta pontificia, consegnò al Colonna lo stendardo che avrebbe dovuto sventolare sul pennone della nave ammiraglia. Su di esso fece ricamare il motto benaugurale “In ho signo vinces” che, come noto, propiziò la vittoria dell’imperatore Costantino.
Lo Stendardo, cimelio storico della cristianità, è una tempera su seta cremisi realizzato da Girolamo Siciolante di Sermoneta e raffigura il Crocifisso tra i santi Pietro e Paolo.



Nel 1571 si radunò nel porto di Gaeta la flotta pontificia e da lì salpò il 24 giugno per unirsi al resto della flotta cristiana.
Marcantonio Colonna nella Cattedrale di Gaeta, davanti alle spoglie di Sant'Erasmo, fece voto che se avesse vinto avrebbe donato lo Stendardo di Lepanto alla Cattedrale di Gaeta e lo avrebbe posto ai piedi del santo, patrono dei marinai.
All'alba del 7 ottobre 1571, aveva inizio, nelle acque di Lepanto, porto della costa ionica situato di fronte al Peloponneso e non distante da Corfù, una delle più grandi battaglie navali della storia. La Lega Santa si presentò con una flotta solida e numerosa. I Veneziani, infatti, avevano innovato le dotazioni delle armi da fuoco ma, soprattutto, avevano lavorato alla costruzione di una galea più alta e più lunga di quelle normali e, per questo, praticamente inabbordabile. Su di essa erano sistemati i tradizionali cannoni laterali, ma anche altri quattro cannoni, due a poppa e due a prua, che le permettevano di sparare da qualsiasi posizione.
La battaglia di Lepanto si risolse in una grande disfatta dei turchi, che misero in salvo appena trenta galee e persero circa 35.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri. I cristiani liberarono inoltre 15.000 forzati imbarcati come rematori nelle stive turche. Nella memorabile battaglia di Lepanto, fu preziosa non solo la superiorità cattolica dell’artiglieria e nelle armi da fuoco leggere ma il fatto che la flotta musulmana arrivò allo scontro in cattive condizioni, dopo mesi di estenuanti scorribande nell’Adriatico (notizie tratteda Gianni Granzotto “La battaglia di Lepanto” Mondadori 1975).

La vittoria della flotta cristiana, fu per Marcantonio Colonna un trionfo personale. Al suo ritorno in Gaeta mantenne fede al giuramento fatto alla partenza; lo Stendardo fu quindi donato al Duomo di Gaeta e posto ad ornamento dell’altare maggiore dove fece bella mostra di se fino al 1976. Poi, dopo un lungo restaurato a cura della Sopraintendenza ai Beni artistici del Lazio fu definitivamente esposto presso il Museo Diocesano.





lunedì 21 settembre 2020

Il parco del Palazzo Chigi in Ariccia (Rm)



Sul retro del grandioso palazzo, la famiglia Chigi custodiva gelosamente i 28 ettari di rigoglioso bosco, residuo del Nemus aricinum, decantato da Orazio, Ovidio e più recentemente dai viaggiatori del Grand Tour d'Italie che ne facevano tappa obbligata.



Alla natura selvaggia ed incontaminata del bosco sacro a Diana, si unisce il fascino dei reperti archeologici in esso contenuti: sarcofagi della II Legione partica di Settimio Severo, resti di fontane progettate dal Bernini, persino il ceppo del sesto miglio dell'Appia antica che segnalava il primo luogo di posta e cambio cavalli per i viaggiatori che dall'Urbe percorrevano la famosa via.




Resti di Uccelliere destinati ad accogliere falchi o rapaci nonchè di monumentali fontane che con i loro giochi d'acqua  accrescevano il carattere romantico e pittoresco del sito e che ancora oggi colpiscono il visitatore incredulo che questo luogo meraviglioso sia rimasto integro per circa mezzo millennio.










sabato 19 settembre 2020

Le Olive di Gaeta nella storia





 Le olive di Gaeta sono conosciute ed apprezzate in tutto il mondo. La loro fama si collega a quella dell'olio di Gaeta, altro prodotto tipico della cittadina laziale.
Queste olive si contraddistinguono per la forma leggermente affusolata, il colore violaceo, il sapore vinoso e amarostico con sfumature acetiche.
Le olive si raccolgono nel periodo marzo –aprile e poi vengono conservate in salamoia per due o tre mesi. A maturazione completata, vengono consumate prevalentemente in cucina o per antipasti, contorni o semplice degustazione.
Un altro tipo di conservazione prevede che il frutto venga raccolto precocemente, ad ottobre –novembre e messo sotto salamoia. In questo caso assume una colorazione più chiara ed un sapore decisamente più amaro. Si consuma come aperitivo (ottime con il Martini dry), in antipasti o in insalate di mare.


Delle olive e dell’olio di Gaeta parlò nell'Eneide Virgilio, mentre notizie della grande diffusione di oliveti nel territorio del Ducato di Gaeta si possono rilevare nel testamento del duca di Gaeta Docibile II nell'anno 954.
La massima diffusione della coltivazione dell’ulivo nel territorio del Ducato di Gaeta e la commercializzazione e l’esportazione in tutto il Mediterraneo dei suoi prodotti oleari, si ebbe nel 1400, da un lato grazie alla notevole estensione territoriale destinata alla coltivazione, e dall’altro grazie alla fiorente marineria gaetana che portò l'olio e le olive in tutte le principali piazze marittime dell'Europa e del mondo, dove olio ed olive erano richieste ed apprezzate.





Oggi la coltivazione degli ulivi risulta maggiormente praticata non nell’attuale territorio della città  di Gaeta ma nel suo immediato hinterland; infatti per ragioni storiche e per l’intensa urbanizzazione, il territorio destinato a tale coltura risulta oggi notevolmente ridotto rispetto alla sua estensione originaria che comprendeva gli attuali comuni di Itri, Fondi, Minturno, Pico, Lenola ed altri territori del basso Lazio.
Relativamente alla classificazione agronomica (cultivar) degli olivi da cui si ricavano le olive e l’olio di Gaeta occorre dire che trattasi della Rosciola europea, antichissimo cultivar che, quasi estinto nel resto del centro Italia, era stata invece preservata e salvaguardata dalla completa estinzione nella Terra di Lavoro (attuale basso Lazio) grazie alla passione ed all’impegno dei produttori locali.
Nel censimento delle specie biologiche ed agronomiche nel 1811 voluto da Gioacchiano Murat, re di Napoli,  promosso per conoscere il territorio della Terra di Lavoro ed individuare le sue risorse e prodotti, è riportato che la più diffusa cultivar di ulivi presenti in quel territori era la Rosciola europea.
 
Tra le sottospecie della Rosciola europea, indviduate per diversità delle bacche, (grossezza, colore, figura, consistenza della polpa, sapore e proporzione tra la polpa ed il nocciolo) furono identificate le seguenti varietà:
1) Licinia, volgarmente aurina = frutto tondo e mediocre ma olio squisito;
2) Radius, volgarmente olivastro breve = frutto oblungo, grossetto;
3) Radiolus, volgarmente olivastro dritto = frutto oblungo più piccolo;
4) Lergia, volgarmente resciola = frutto tondo più grosso e più ricco di olio;
9) Olea Cajetana, volgarmente definita uliva di Gaeta: frutto grosso, oblungo con nocciolo piccolo in proporzione alla polpa, ottimo da mangiare.
 
E’ da precisare, comunque che l’Olea Cajetana era stata già classificata nel 1796 dal botanico Vincenzo Petagna (1730-1810) tra le specie vegetali da lui studiate e riportate nella sua opera “Delle facultà delle piante.”

L’Agenzia regionale del Lazio - ARSIAL, nel database dedicato ai prodotti tipici della regione, nel classificare le specie in precedenza elencate della Rosciola europea, aggiunge che nel territorio regionale sono presenti alcune varianti o sottospecie rispetto alle cultivar elencate. Tra queste classifica il Leccino, l’Olivastro, e la Itrana.
Le cultivar, sottospecie delle principali, si presentano, da quanto può dedursi dalla classificazione dell’agenzia regionale, con caratteristiche non omogenee a quelle indicate. 
 
La controversia territoriale
Nasce dalla richiesta del Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione dell’Oliva di Gaeta del marchio Dop, denominazione di origine protetta, dell’Oliva stessa, dove, all’art.1, si legge che: «la denominazione di origine protetta “Oliva di Gaeta” è riservata esclusivamente alle olive da mensa, derivanti dalla varietà di olivo “Itrana”.
La domanda presso il Ministero stava seguendo il suo iter quando sono giunte alcune opposizioni al progetto da parte del Comune di Gaeta, della Camera di Commercio di Latina, di un’associazione di produttori.
Nel ricorso in opposizione si sostiene che l’indicazione della varietà colturale è errata, in quanto la denominazione corretta della cultivar in questione è “Olea Cajetana” o “Gaetana”, dal nome del territorio al quale deve la sua esistenza originaria e che,” per millenni, ha legato a sé la pianta e il suo frutto sia dal punto di vista storico che ambientale, culturale ed economico, come evidenziato dagli esiti di accurate ricerche storiche basati su numerosi documenti di assoluto rilievo ed attendibilità”.

Senza voler scendere nel merito del caso, ritengo che è questo il momento di far chiarezza su una questione che dura ormai da anni. Da tempo, infatti, alcuni produttori di olive di Gaeta commercializzano il loro prodotto utilizzando i termini “Itrana”,“Olive di Itri”,”Itranella”. Si ingenera così tra i consumatori grande confusione sull’origine del prodotto. Ci si chiede quale sia la ragione del non utilizzo della corretta e consolidata denominazione di “Oliva di Gaeta” che si riferisce ad un prodotto di nicchia la cui millenaria fama lo ha fatto apprezzare e diffondere in tutto il mondo, facendone derivare sicuri benefici in termini di immagine per produttori e commercializzatori.

Questione campanilistica? Strumentalizzazioni politiche ? Motivazioni di carattere commerciale?
Non so; so solo che regna una grande confusione nel campo e spero che questa mia ricerca possa contribuire a chiarire le idee a chi avrà la pazienza di leggerla.


Le immagini sono tratte da  siti Internet