giovedì 25 ottobre 2007

INCUBO METROPOLITANO



Stazione Termini!

due ore di viaggio

al giorno!

Pellegrino tra una folla

senza volto,

fagocitato da una città

tentacolare.

Traffico urbano!

Urla di sirene,

frastuono di clackson,

rombi assordanti

di motori impazziti,

crepitii di un martello pneumatico

che scava.

Decibel in libertà!

La nube nera

d'una marmitta assassina

m'avvolge.

Il gusto acre di morte

proprio non va giù.

Soffoco!

Resisto ancora!

Lontano, la emme rossa del metrò

sembra una via di scampo.

Una scala mobile trascina tutti, in fondo,

sempre più in fondo,

nel cuore buio

di un tunnel

che corre verso l'ignoto.

Un treno m'inghiotte!

Mi ritrovo ancora

solo tra una folla disperata,

che va.

Un posto si libera!

Con voluttà

sprofonda

la mia stanchezza

esistenziale.


Chiudo gli occhi,

sogno!


Visioni apocalittiche!

Il settimo sigillo:

il sole diventa nero,

la luna color del sangue,

le stelle del cielo

s'abbattono sulla terra.

Dal fondo del tunnel

un vecchio bianco

venirci incontro gridando:

"E' venuto il giorno

della grande ira,

guai a voi

abitanti della terra,

vengo a traghettarvi

ad altra riva,

tra le tenebre eterne!

Impaurito ascolto

il suono

della Settima tromba.

Anagnina!

Il metrò è fermo,

sputa fuori

l'umanità

senza storia,

senza volto,

senza anima.

La vie en rose!

La melodia

d'una fisarmonica

accompagna la risalita.

Accecato dalla luce

fluorescente

di questo mattino,

sono fuori………

a riveder le stelle!


(di Pino Ferrara, giugno 1999)

martedì 23 ottobre 2007

L’uva “Serpe” ed il vino Cecubo

Fonti giornalistiche di recente, hanno dato notizia di una importante iniziativa per il recupero di uno dei più antichi vitigni autoctoni del Lazio: l’uva “serpe” da cui veniva prodotto il vino Cecubo, tanto apprezzato ai tempi dei Romani.

L’azienda agricolo promotrice dell’iniziativa è la Masseria del monti del Cecubo ubicata sulla strada della Magliana che collega Itri a Sperlonga.

La Regione Lazio, prima di includerlo tra i vitigni autoctoni ammessi alla cultura, ne sta studiando i caratteri organolettici della vite che produce questa uva. L’impianto viticolo, sotto il controllo di tecnici regionali è a buon punto di realizzazione e prossima è quella della produzione e della commercializzazione del vino.

un po' di storia

Quando Appio Claudio Cieco, il costruttore dell’Appia, la Regina viarum, che collegava e collega Roma a Brindisi, dopo un agevole percorso nella pianura pontina, si imbatte nei monti che da Fondi, attraverso Itri, accarezzano il cielo fino a Formia, trovò un ostacolo impervio da superare. Ma lo accolse, a lenimento delle sue fatiche, un pregevole ventaglio di vini che, è da ritenere, trasportò a Roma come un carico più prezioso di un trofeo di guerra.
Cecubo si suppone derivi da caecus (cieco), congiunto a bibeo (bevo), o bibere (bere), vocaboli fusi insieme ad identificare il bere del cieco, cioè la bevanda preferita proprio da Appio Claudio Cieco. Plinio il Vecchio classificò prima il Cecubo e, poi, il Falerno, precisando antea coecubum, postea falernum. E la dice lunga quel postea falernum, cioè dopo il celeberrimo vino che Petronio, nella famosa cena, fece offrire da Trimalcione ai convitati, esterrefatti, con il commento: questo vino ha cento anni; esso ho vita più lunga dell’uomo. Columella, poi, nel De Agricoltura, individuò il sito di produzione del miglior vino dell’Impero sulle alture sopra la “spelunca”, oggi Sperlonga. Ed Orazio, nella seconda ode, ricorda che i vini cecubi erano nascosti, come un bene prezioso, sotto cento chiavi, ed erano superiori persino a quelli offerti negli opulenti banchetti dai Pontefici.

L’uva serpe, da cui si ricava il vino Cecubo ha la caratteristica di tramutarsi in un vino corposo, rosso, intenso, con una nota amara e dolce insieme, un vino che tinge il pavimento con macchie indelebili, come ricorda Orazio nel celebre verso, vero tinget patvimentum superbo.

Il suo anno di nascita si perde nella notte dei tempi. Il vitigno dell’uva serpe non ha al mondo riscontri che ne possano stabilire la sua origine per trasmigrazione: esso è proprio il frutto spontaneo di questa ristretta striscia di terra dei comuni di Itri e Sperlonga e, per l’alta qualità del prodotto, costituisce proprio un dono di Dio.

L’origine antichissima dell’uva serpe trova un convincente riscontro in Columella che, nel tratteggiare le varie specie di vitigni, già antichi per la sua epoca del I secolo dC., menziona l’esistenza di un’uva che dava un vino robusto e che veniva prodotta da un vitigno chiamato Dracontion, che, in greco, significa serpente. Columella, scrivendo in latino, ha fatto ricorso, per indicare questo vitigno, ad un termine in lingua greca, che era quella originaria degli antichi abitanti dell’antichissina città di Amyclae che sorgeva sul litorale tra Fondi e Sperlonga. (Virgilio ne fa risalire l’origine ai Laconi, provenienti dal Peloponneso, regione abitata dagli Spartani). Gli Amiclani piantarono sui colli di Itri la vite dell’uva serpe, anche come retaggio delle proprie credenze religiose.
I popoli dell’antichità, quando trasmigravano da un posto ad un altro, si portavano dietro quelle che erano te radici della loro civiltà, costituita dalle coltivazioni principali e dalle credenze religiose e, tra le prime, il grano e le viti. Chi si inoltra tra le balze dei Monti Cecubi scopre che addosso dei ruderi di ogni antico fabbricato, proprio in prossimità dell’ingresso principale, vi è ancora un grosso tronco di vite pluricentenaria: é la vite dell’uva serpe che ogni avo, in occasione della costruzione di un nuovo fabbricato, usava piantare, di generazione in generazione, a protezione e tutela della dimora familiare proprio in prossimità dell’uscio. E proprio al rispetto sacrale di questa millenaria tradizione contadina dobbiamo ora la conservazione dell’uva serpe.

(Tratto da un corposo studio della dott.ssa Maria Antonietta Schettino Pubblicato sulla Gazzetta degli Aurunci, Anno XV, n. 5, Maggio 2006).

GAETA, Storia e leggenda - I°



Mitico ed avvolto da leggende è l'origine del nome di Gaeta (Caieta). Virgilio (Eneide, VII, 1-4) ove morì la nutrice di Enea, che avrebbe dato il nome al luogo. E Dante, quasi a significare la storicità del poema virgiliano, confermò l'avvenimento (Inferno, XXVI, 92).

Nell'età romana Gaeta divenne un rinomato luogo di villeggiatura di vari imperatori, consoli e ricche famiglie patrizie; come notò Cicerone, nel 66 a.C., fu anche un porto di notevole importanza. Sin dall'ultimo secolo della Repubblica, sulle circostanti colline, lungo la lunata spiaggia della rada di Gaeta e su tutta la costiera verso Sperlonga, sorsero grandiose ville con giardini e piscine, ninfei, templi e mausolei di cui restano imponenti testimonianze. Ancor oggi ammiriamo le tombe dei consoli Lucio Munazio Planco, sulla sommità di Monte Orlando, e di Lucio Sempronio Atratino, sul versante settentrionale dell'omonimo colle.

Nell'alto Medioevo, per la posizione della penisola alta e rocciosa, facilmente difendibile, Gaeta divenne una rocca munita, cioè un castrum, costituendosi verso la metà del secolo IX in autonomo e fiorente ducato, oltre che sede vescovile, e dando inizio così ad un intenso commercio marittimo nel Mediterraneo. Il ducato di Gaeta rappresentò, altresì, un'entità di notevole importanza tra il modo cristiano e quello saraceno (battaglia del Garigliano, 915), tra lo Stato della Chiesa, la Terra S. Benedicti, i ducati ed i principati longobardi e bizantini dell'Italia meridionale.
L'originario nucleo urbano sull'estrema parte orientale del promontorio si era sviluppato, digradando verso il mare ed occupando lo spazio fin quasi alle prime falde di Monte Orlando. Due cinte murarie si ebbero al tempo di Docibile I (867/906) e di Giovanni I (877/933): la prima racchiudeva l'abitato più antico intorno alle chiese di S. Lucia e di S. Caterina per poi proteggere il versante rivolto alla rada, nei pressi della porta Dominica e del palazzo di Docibile I, e risalire l'altura fin dove poi sorse la parte superiore del castello; l'altra cingeva l'area abitata sviluppatasi fino all'attuale piazza Commestibili, venendo così a difendere il settore urbano più esposto ad eventuali assedi nei primi decenni del X secolo e dominato dal palazzo-torre di Giovanni I, patrizio imperiale.
Contemporaneamente alla formazione della civitas ducale si venne a costituire - lontano dalle mura - sulle prime pendici di un colle, che poi avrà il nome dei Cappuccini (dalla metà del sec. XVIII), un modesto insediamento di pescatori e di agricoltori attorno alla chiesa dei SS. Cosma e Damiano (è il nucleo originario del "Borgo di Gaeta").

GAETA - Storia e leggenda 2°


Con Ruggiero II normanno (verso il 1140) Gaeta divenne città di confine del "grande regno" verso lo Stato della Chiesa, assumendo nel contempo un graduale carattere di piazzaforte con varie cortine di bastioni e di opere falsificate, tanto che sarà poi definita la "chiave del Regno di Napoli". Questa progressiva militarizzazione di Gaeta, strettamente collegata alla sua posizione strategica, risalterà nei secoli successivi per gli innumerevoli e memorabili assedi. Questi segnarono lungo tutto l'arco discendente del periodo medievale, ma in particolar modo nell'età moderna, altrettanti episodi decisivi per il Mezzogiorno d'Italia. La caduta della fortezza coincise, spesso, con l'avvento di una nuova dominazione straniera o di una nuova dinastia sull'Italia meridionale. Dal 1032, anno del tramonto del potere dei Docibile sul ducato di Gaeta, al 1504 con la conquista del Regno di Napoli da parte degli Spagnoli, si succedono varie dominazioni (longobarda, sveva, angioina, durazzesca, aragonese), che fanno di Gaeta la seconda capitale del Regno. In questo stesso periodo Gaeta divenne, non di rado, base per la conquista di Napoli (Ladislao di Durazzo nel 1399; Alfonso d'Aragona nel 1442).


La permanenza in Gaeta di alcuni sovrani determinò la costruzione di notevoli edifici, civili e religiosi, che hanno conferito al nucleo urbano, arroccato sull'estrema punta del promontorio, una particolare impronta storico-artistica: tra i tanti basterà ricordare il castello, divenuto sede regale con Alfonso d'Aragona negli anni 1436/42. La lunga presenza spagnola nella cittadina tirrenica (fino al 1707) mutò profondamente il suo ruolo di centro commerciale, legato alla vita sul mare, attraverso grandiose opere difensive, portate a termine da Carlo V (1538), che ridussero il centro urbano al rango di cittadina militare. Agli Spagnoli seguirono gli Austriaci, mentre nel 1734 si ebbe la conquista di Gaeta da parte di Carlo di Borbone, il fondatore della nuova dinastia borbonica napoletana. Ancora una volta le fortificazioni e le varie opere di difesa ebbero un ruolo preminente nell'organizzazione urbana. Durante il lungo periodo borbonico non mancarono assedi (1799, 1806 e 1815) oltre che un avvenimento d'interesse internazionale: il 25 novembre 1848, il pontefice Pio IX si rifugiò in Gaeta (fuggito da Roma per la proclamazione della Repubblica), tanto che fino al 4 settembre 1849 la cittadina tirrenica assunse il ruolo di "secondo" Stato della Chiesa. Il 13 febbraio 1861 sotto le mura di Gaeta terminò la dinastia borbonica e si ebbe il compimento dell'Italia unita.

Il secondo conflitto mondiale ha segnato una nuova tragedia travolgendo uomini e cose. Dalle immani distruzioni della guerra, dalla dispersione della sua popolazione si è originata una nuova realtà urbana, che per un certo periodo ha espresso alcuni valori che dall'eredità del passato si potevano coniugare con il presente legato ad una nuova economia, espressione dei settori industriale e commerciale.

Oggi Gaeta è costituita dal patrimonio paesaggistico, monumentale, artistico e culturale.

giovedì 18 ottobre 2007

Poesie di Loreta Nunziata

Non siamo deboli instauratori d'infedeltà
vittime di dicerie, di bugie, di persecuzioni,
siamo capaci di introspezione, di libertà
nostra e conquistata con le intercessioni.
(da Antologia Virtuale della poesia italiana - Loreta Nunziata: L'incredulo)


La vita

La vita non è un cammino semplice e lineare lungo il quale possiamo procedere liberamente e senza intoppi, ma piuttosto un intricato labirinto, attraverso il quale dobbiamo trovare la nostra strada, spesso smarriti e confusi, talvolta imprigionati in un vicolo cieco. Ma sempre, se abbiamo fede, si aprirà una porta forse non quella che ci saremmo aspettati, ma certamente quella che alla fine si rivelerà la migliore per noi. Archibald Joseph Cronin

(tratto da http://www.pensieriparole.it/aforismi/autori/a/archibald-joseph-(aj)-cronin/pag1)

mercoledì 17 ottobre 2007

Una doverosa rettifica al Post del 16 ottobre

Ricevo da un anonimo frequentatore del mio Blog il commento al mio post del 16 ottobre intitolato: “Crediamo più al gossip che a quanto vediamo”.
Il commento è questo:
Non siamo deboli vittime di dicerie, di bugie, di persecuzioni, siamo capaci di introspezione, di libertà. La capacità di discrezione richiede la nostra umanità, il nostro cuore aperto, la nostra disponibilità sincera. A.F.
Innanzitutto intendo ringraziarlo per le parole meditate e profonde di commento a quanto io ho scritto. Poi ritengo di dovere a lui ed a tutti quelli che hanno letto il mio post, delle scuse. Non avrei dovuto riportare una notizia tratta da un quotidiano, in maniera così superficiale ed acritica.
Il commento del mio amico visitatore mi trova completamente d’accordo e quindi, condividendolo in toto, lo faccio proprio.
La notizia di cui non ho trovato ulteriori riscontri o approfondimenti ha, purtroppo, confermato le mie supposizioni. Mi sono sempre chiesto come sia possibile distorcere la verità con notizie incontrollate e artatamente diffuse, magari con inopportuno risalto mediatico, al fine di gettare discredito su qualcuno. Non ho neanche trovato una risposta al comportamento di chi crede che possa esistere una realtà che non possiamo penetrare con la forza della ragione o del sentimento.

martedì 16 ottobre 2007

Gossip o realtà

Crediamo
più al gossip
che a quanto
vediamo

Che le "voci" siano positive o negative, che siano vere o false, non importa. Tendiamo a crederci. Anche se fanno a pugni con le nostre convinzioni o con quello che vediamo con i nostri occhi.

Il gossip è più potente della verità e ci influenza nei giudizi. E quel che è peggio, crediamo più alle dicerie che a ciò che vediamo con i nostri occhi.
Risulta da un esperimento dell'istituto di biologia dell'evoluzione di Plon, in Germania. Lo studio dimostra l'enorme potere di manipolazione delle opinioni insito nel gossip. Soprattutto se si pensa che il pettegolezzo riporta essenzialmente notizie false. Cui finiamo regolarmente per credere.Gli studiosi hanno coinvolto 14 gruppi di studenti, bersagliandoli a colpi di "voci" negative o positive su altri giovani. È emerso che le "cavie" tendevano a credere alle maldicenze o alle lodi intessute da altri. Il 44% dei partecipanti infatti ha cambiato la propria opinione sotto l'influenza del gossip, anche quando esso contraddiceva ciò che avevano visto coi loro occhi o che già sapevano. Il test dimostra come il gossip e i suoi effetti negativi non riguardino solo i vip delle pagine dei rotocalchi, ma soprattutto la nostra vita quotidiana. E come alle dicerie, anche se false, crediamo anche se contraddicono ciò che abbiamo visto o di cui abbiamo esperienza.

(tratto dal quotidiano City del 16 ottobre 2007)

mercoledì 3 ottobre 2007

Una gita a Tursi e Anglona


Tursi si trova a 20 km dalla costa ionica, su una altura argillosa, a 210 metri s.l.m., posta tra il fiume Agri e il fiume Sinni. Il suo territorio comprende una zona interna collinare, caratterizzata dalla presenza di oliveti che si alternano alle zone a calanchi e ai boschi, e una zona pianeggiante e fertile versi il mare, dove è molto sviluppata la coltura delle arance.

Il nome del paese si fa derivare da Turcico, dal nome del suo probabile fondatore, trasformato in Tursikon e poi in Tursi, oppure da "turris", con chiaro riferimento alla torre del castello.

L'origine di Tursi è sicuramente molto antica. L'opinione più comune è che Tursi abbia avuto origine intorno ad un castello, costruito dai Goti verso il quarto o il quinto secolo, ad opera dei fuggiaschi della vicina Anglona, distrutta dagli stessi Goti. Un villaggio agricolo esisteva già in epoca romana, come è dimostrato dai continui rinvenimenti di tombe e monete. Il primo nucleo abitativo, sorto attorno al castello, con l'arrivo degli Arabi, che ne fecero una roccaforte per il controllo della costa Jonica, prese il nome di Rabatana.

Tursi ha dato i natali al poeta Albino Pierro, nato a Tursi nel 1916 e morto a Roma nel 1995, più volte candidato al premio NOBEL per la letteratura. Le sue poesie in dialetto tursitano raffigurano la primigenia anima lucana ed hanno come tema dominante il mondo autobiografico della fanciullezza.

Il quartiere della Rabatana di Tursi è sicuramente la parte più caratteristica del centro storico, testimonianza dell'insediamento arabo in quest'area.

Nel corso dei secoli IX e X da Bari, sede di un emirato arabo dall'847 all'871, gli Arabi si spinsero all'interno dell'Italia meridionale, quindi anche della Basilicata, per compiere saccheggi e catturare prigionieri da vendere come schiavi nei centri dell'impero islamico, in quel periodo in una fase di massima espansione.

Secondo alcuni cronisti del tempo e secondo le fonti disponibili, gli stanziamenti arabi furono consistenti e di lunga durata in molti centri del medio bacino del Bradano e del Basento, nel Basso Potentino e nella Val d'Agri. Le numerose tracce architettoniche che ancora si possono leggere in molti centri storici e le tracce linguistiche nei dialetti locali, fanno ritenere che non si trattò esclusivamente di insediamenti militari, ma di vere e proprie comunità articolate, dove un ruolo di rilievo era svolto da mercanti ed artigiani.

Le tracce degli insediamenti arabi sono ancora perfettamente leggibili a Tursi, a Tricarico e a Pietrapertosa: si tratta di quartieri che la tradizione appella come Rabatana, Rabata o Ravata, richiamando etimologicamente il termine ribat, che in arabo significa luogo di sosta o anche posto fortificato. Sono per esempio ancora leggibili a Tricarico i due quartieri della Rabata e della Saracena, con le porte di accesso e le rispettive torri, risalenti all'XI secolo.

La Rabatana di Tursi coincide con la parte più alta dell'abitato altomedievale, in ottima posizione difensiva. L'intrico edilizio che ancora caratterizza questo quartiere era dominato dalla presenza del castello, di cui attualmente restano poche tracce. La Rabatana è collegata al corpo del paese per mezzo di una strada ripida (in dialetto "a pitrizze"). L'antico borgo saraceno è indissolubilmente legato alla poesia dialettale di Albino Pierro.

Nel cuore della Rabatana sorge la Chiesa Collegiata di S. Maria Maggiore, e, volgarmente detta Madonna della Cona. All'interno vi è una catacomba (Kjpogeum), di struttura gotica e adornata da scritture sacre. Gli affreschi presenti, risalenti al XVI secolo, sono riconducibili a Simone da Firenze e ad allievi della scuola di Giotto. Al suo interno si trova inoltre uno stupendo presepe in pietra realizzato nel XV sec. da autore incerto (Altobello Persio o più probabilmente Stefano da Putignano, autore del presepe presente all'interno della Cattedrale di Altamura).


La chiesa di Santa Maria d’Anglona -Il colle di Anglona risulta sede di insediamenti sin dall'età del Bronzo e del Ferro; il sito viene inoltre identificato con la città greca di Pandosia, riportata sulle Tavole di Heraclea. Il nome Pandosia allude alla fertilità della zona, che insieme alla posizione strategica del sito rispetto all'antica rete stradale, permise un notevole sviluppo dell'abitato soprattutto in età ellenistica (IV - III secolo a.C.).

Sull'antico abitato sorse nel Medioevo un nuovo centro, di cui oggi rimane solo la chiesa di S.Maria di Anglona. La chiesa esisteva sicuramente nel 1092, e alcune strutture risalgono infatti all'XI secolo, anche se l'aspetto attuale risente notevolmente delle modifiche apportate nel corso dei secoli: fra il XII e il XIII risalgono gli affreschi superstiti presenti sulle pareti della chiesa; ascrivibile alla prima metà del XIII secolo la trasformazione della zona absidale e la veste decorativa dell'esterno; al XV secolo risalgono invece l'ala sinistra della chiesa, l'abside, i dipinti di santi sui pilastri della navata.

Nel XIV secolo avvenne la distruzione della città di Anglona, e anche la Cattedrale, pur risparmiata, perse progressivamente il suo prestigio. Nel 1931 la chiesa fu dichiarata monumento nazionale, ma solo negli anni '60

lunedì 1 ottobre 2007

La manifestazione "Le Vie di Gaeta"


Gaeta si gusta anche attraverso le sue specialità gastronomiche!. Cibo, cultura, storia e bellezze naturali hanno realizzato un fusione perfetta nella V edizione delle ''Vie di Gaeta'', iniziativa promossa dall'associazione "Gaetavola".

Sabato 29 Settembre in via Indipendenza le massaie hanno proposto ai visitatori dell'antico ''Borgo'' le ricette migliori della tradizione culinaria gaetana aprendo le loro caratteristiche cucine ai visitatori che hanno partecipato con entusiasmo alla manifestazione.

Specialità di terra e di mare, sapori e profumi di una cucina semplice, d’altri tempi, hanno descritto le abitudini di un popolo e l'evolversi della sua cultura. Regina incontrastata della serata è stata, come al solito, la “Tiella”, con fantasia farcita di verdure di ogni genere, polpi pescati nel golfo, alici, cipolle. Non potevano mancare squisiti manicaretti, dolciumi: delizie del palato per un tuffo nel passato. La manifestazione è proseguita domenica 30 con visite guidate ai monumenti del centro storico di Gaeta, al quartiere medioevale di Sant'Erasmo; ed al parco regionale di Monte Orlando.















(guarda le altre fotografie)