martedì 29 ottobre 2019

CHI HA PAURA DEI SERPENTI? A Cocullo in Abruzzo un singolare rito richiama visitatori da tutta Europa.





 
C’è da chiedersi perché fin dai primordi dell’umanità il serpente ha destato tanta paura; ha ciò un fondamento o la ragione affonda nei meandri della psiche umana?
Gli studiosi di  psicologia chiamano Ofidiofobia la paura dei serpenti, dei ragni e delle forme serpentine in genere; recenti studi fatti nel campo da un importante istituto di ricerca (Frontiers in Psychology) confermano che la paura dei serpenti è una caratteristica innata nella specie umana e che il nostro cervello riesce ad identificare alcune specie di animali, tra cui ragni e serpenti, come pericolo, in modo istintuale, prima ancora che questo possa concretizzarsi. In sostanza quello che oggi è solo una paura inconscia, una fobia, un tempo era la risposta ad una minaccia concreta per la sopravvivenza dei nostri antenati.
I serpenti, comunque, sono stati da sempre centro di interesse in campo scientifico e antropologico.
Nella Bibbia il serpente è descritto come un animale astuto, ingannatore, simbolo del male, della tentazione. E’ lui che nel Giardino dell’Eden tenta Eva e, unitamente al suo compagno Adamo, li fa cacciare via da quel paradiso. Il rettile rappresenta invidia, cupidigia, avidità, in sostanza il male e la tentazione che allontana l’uomo da Dio. Anche l’Apocalisse di Giovanni associa il Diavolo al drago descritto e raffigurato come un serpente che in perenne conflitto con la donna celeste, insidia e perseguita la sua discendenza.
Il serpente è anche simbolo della medicina e della farmacia e il suo mito risale all'antica Grecia. Nell’iconografia i serpenti appaiono attorcigliati attorno ad un bastone o una verga, per l’appunto il bastone di Asclepio (o Esculapio)  che, secondo i miti dell’antica Grecia, apprese l'arte di curare da suo padre Apollo e dal centauro Chirone. La legenda tramanda che Zeus, preoccupato dal fatto che Esculapio facesse divenire immortale l'umanità, grazie al suo potere di guarire, lo fulminò con una saetta nel tempio dove questi era solito esercitare le sua arte. Tra le rovine ancora fumanti del grande incendio, causato dal fulmine di Zeus, furono trovati alcuni serpenti morti. Quando essi furono raccolti per essere smaltiti, inspiegabilmente rinvennero e scapparono via. Lo strano fenomeno fu interpretato come conseguenza dell’effetto dei poteri curativi di Esculapio.
 Il grande neurologo, psichiatra e psicoanalista Sigmund Freud vede nel serpente un simbolo sessuale e lo considera l’espressione della forza creatrice maschile, forza viva ed attiva a livello inconscio, al di fuori della sfera consapevole del soggetto.
La paura dei serpenti e l’incapacità di valutare la loro reale pericolosità spesso condanna a morte molti rettili che nulla hanno a che vedere con le temibili vipere. Si fanno così vittime innocenti tra Biacchi, Bisce, Cervoni e Orbettini. 
Comunque sia, è assodato che i serpenti, a torto o a ragione, destano paura, timore, o quanto meno ribrezzo.  Ma non è dovunque così; c’è infatti un piccolo paese abruzzese dove i serpenti non solo non fanno paura, ma addirittura sono i benvenuti e protagonisti di una festa che, per la curiosità che desta, richiama visitatori da ogni parte d’Europa. I serpenti, precocemente svegliati dal letargo, contribuiscono involontariamente all’economia agricola e pastorale del paese con il loro partecipare attivamente alla festa patronale che per la sua tipicità costituisce un richiamo turistico importante.
E’ Cocullo il piccolo paese abruzzese non lontano dalla più famosa Sulmona, dove ogni anno si rinnova nei primi giorni di Maggio un’antica usanza, la Festa dei “serpari”, un rito ancestrale tra il sacro e il profano, in coincidenza col giorno di San Domenico, santo patrono del paese e, manco a dirlo, protettore dai morsi dei serpenti.


La festa patronale con la processione del Santo è un irrinunciabile rito per gli abitanti del luogo che attira anche visitatori e curiosi da tutte le parti d’Italia. Quest’anno l’adesione dei visitatori, oltre che dei giornalisti e televisioni di tutta Europa, è stata massiccia per la notizia data dalle autorità e dalle istituzioni che ben presto la festa sarà dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità.
Quando la ricorrenza si avvicina “serpari”, di ogni età, si recano sui monti circostanti a caccia di rettili da poco usciti dal letargo, che in attesa del gran giorno della festa, vengono conservati in apposite ceste e nutriti in abbondanza. L’attività, e sopratutto l’abilità del “serparo” si tramanda di padre in figlio e la festa è sentita come un importante evento identitario della comunità di appartenenza. E’ occasione di una gioiosa gara a chi cattura il maggior numero di serpi, conquistando in tal modo un ambito premio. E’ opportuno precisare che lo svolgimento delle operazioni per la cattura e l’utilizzo dei rettili fino alla loro definitiva liberazione è fatta nella salvaguardia della natura e nel rispetto della dignità degli animali. E’ inoltre necessario precisare che i serpenti che vengono catturati non sono particolarmente aggressivi e tantomeno appartengono a specie pericolose.
Nel giorno della festa il paese si anima dei tanti “serpari” che spuntano da ogni dove, portando con orgoglio i serpenti da loro catturati invitando i numerosi presenti a tenerli in mano.
 E’ indescrivibile la gioiosa partecipazione dei turisti incuriositi che, seppur timorosi, accolgono la proposta per uno scatto fotografico da inviare ad amici e parenti, esibendo il serpente come un trofeo di un safari nostrano. L’eccitazione arriva al suo culmine quando la statua del Santo esce dalla chiesa e viene interamente ricoperta di serpi; così addobbata percorre tutte le strade del paese tra lo stupore della gente.
La festa ha origini antichissime che risalgono a quando Cocullo era sede del culto della dea Angizia, che proteggeva gli antichi popoli dei Marsi e Peligni dai morsi velenosi delle serpi, numerose in quelle zone paludose. Il nome della dea deriva direttamente da anguis che in latino designa il serpente e le sacerdotesse della dea sapevano ricavare medicinali sia dalle erbe che dal veleno dei serpenti. Plinio il Vecchio, oltre a descrivere le cerimonie che si svolgevano in onore della dea, narra anche che le antiche popolazioni della Marsica avrebbero appreso l'arte di incantare i serpenti da Marso (da cui deriva il nome della terra in cui si erano insediate), figlio della maga Circe. 

Come sovente è accaduto, sull’antico rito pagano si innestò poi la tradizione cristiana; il culto della dea Angizia  fu sostituito da quello di San Domenico, le cerimonie pagane ed i pellegrinaggi dei devoti cedettero il posto alle processioni ed al rito della cattura e dono delle serpi alla statua del Santo cristiano, San Domenico. Questi secondo la leggenda  giunse a Cocullo intorno all’anno 1000 nelle vesti di Fra’ Domenico, monaco benedettino  circondato da un alone di santità che fuggiva dalla vicina Marsica inseguito dagli eretici che volevano ucciderlo. Fu accolto dalla comunità locale con grandi manifestazioni di affetto e devozione che il sant’uomo ricambiò con miracoli e guarigioni.
Ma San Domenico dovette ben presto lasciare Cocullo, nonostante le richieste e le preghiere dei suoi abitanti i quali, vista la ferma determinazione del santo, lo pregarono di lasciare loro qualcosa che li proteggesse contro animali rabbiosi, velenosi o altrimenti pericolosi. San Domenico si commosse e, portata la mano alla bocca, estrasse da questa un suo dente molare che donò loro. Il dente si conserva tuttora nella chiesa a lui dedicata e sembra che sia un amuleto molto efficace contro le insidie dei serpenti, rendendoli mansueti e docili.



domenica 13 ottobre 2019

Il Grande murales dello streetartist Blu

Il murales di Blu è diventato una meta per fotografi ed appassionati di arte urbana nel quartiere di Ponte Mammolo a Roma.
Nell'opera è raffigurata una serie di scivoli con curve e connessioni che scaricano gli abitanti di un altissimo condominio in una grande piscina. Con il murales l'artista ha inteso rappresentare il destino dell'Umanità.

martedì 8 ottobre 2019

Il mistero del Quadrato Magico



 

Ho di recente finito di leggere Cherudek di Massimo Valerio Evangelisti, opera che fa parte della saga dell’inquisitore Nicolas Eymerick, domenicano a servizio della Chiesa. Eymerik indaga su cosa si nasconde dietro l’esercito dei “morti viventi” che seminano terrore in alcuni territori di confine della Francia del 1360 dove avvengono fatti inspiegabili e sconvolgenti che lasciano i protagonisti  a dir poco terrorizzati e avvincono sempre di più il lettore.

Nel romanzo, in verità di non facile lettura perché richiede una buona dose di concentrazione, si intrecciano religione, alchimia, metafisica, reincarnazioni ed eventi diabolici con la storia e le gesta dei Cavalieri del Tempio.

Eymerick, che è alla continua ricerca di indizi che possano essere utili a svelare gli inspiegabili misteri e la causa degli eventi catastrofici che affliggono quei desolati territori, è assistito nell’arduo lavoro di dipanare l’intricata vicenda da due gesuiti.

I due, per un momento, credono di aver trovato la soluzione dell’arcano in una strana iscrizione sul grande portale di una chiesa edificata dai Templari, un epigramma, composto da cinque parole, in cui le ultime sono simili alle prime, ma con lettere invertite. La parola centrale, apparentemente l’unica ad avere un significato compiuto, si legge in entrambi i sensi.



SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS





L'iscrizione, che però non aiuterà l’inquisitore nella soluzione dell’indagine, rappresenta uno dei tanti misteri surreali e allucinatori in cui egli si imbatte.

Trattasi del famoso palindromo che figura su moltissime chiese medioevali, soprattutto su quelle edificate dai cavalieri del Tempio. Le cinque parole magiche si trovano disposte su una matrice quadrata su cui possono essere lette indifferentemente da sinistra a destra oppure dall'alto ma in basso e viceversa. Nel quadrato la parola TENET forma una croce con al centro la lettera N.

Eymerik narra la storia del Quadrato magico che, molto diffuso nelle province dell'Impero romano, è stato ritrovato in un numero sorprendentemente vasto di reperti archeologici.

Dalla sua narrazione ho preso spunto per approfondire l’argomento e ho appreso che quadrati magici sono stati ritrovati perfino in Mesopotamia, in Egitto, in Cappadocia, in Britannia, in Ungheria, a Santiago di Compostela. In Italia sono stati ritrovati a Campestrano, Verbania, Trento, Verona ed a Pompei nei pressi della Palestra Grande.


Personalmente ho avuto modo di ammirarne e fotografarne uno su una stele marmorea nell’Acropoli di Volterra, rinvenuto in occasione di scavi archeologici effettuati nel parco Enrico Fiumi. Ne ho scoperto un altro nella Certosa di Valvisciolo in provincia di Latina; questo, a differenza degli altri, presenta le parole disposte in forma radiale a formare un cerchio diviso in cinque spicchi. 

Alcuni medioevalisti ritengono che una possibile lettura dell’epigramma possa essere: il seminatore (sator) con il carro (arepo) tiene (tenet) con cura (opera) le ruote (rotas). Altri ritengono che l’unica parola non latina, arepo, sia il nome del seminatore, altri ancora sostengono che il termine indica un carro in uso alle popolazioni celtiche che, per di più, era munito di ruote.


L’epigramma in questione fa parte della simbologia cristiana che si inserisce nella cultura del periodo. Lo attesta la sua presenza in molte chiese medioevali anche per il riferimento del termine Sator al Creatore, l’autore di tutte le cose.

Non meno autorevole è l’interpretazione data da altri studiosi che attribuiscono al Quadrato magico una valenza di tipo apotropaico o scaramantico per eliminare influssi maligni.



I quadrati magici hanno una storia molto antica. Gli antichi Cinesi lo chiamavano “Lo Shu”. Ad esso era associata una leggenda secondo cui una disastrosa piena del fiume Lo nei pressi di Shangai, causata dall’ira dal dio del fiume contro la popolazione, ebbe fine solo con la comparsa di una tartaruga con inciso sul guscio uno strano disegno con numeri collocati su tre righe e tre colonne; la somma dei numeri su ogni riga, colonna o diagonale dava come risultato sempre 15.



Questo tipo di quadrati erano noti anche in India e in Persia; giunsero in Europa relativamente tardi, attraverso gli arabi. Il luogo di trasmissione dal mondo arabo all’Europa sembra essere stato la Spagna, visto che il filosofo ed astrologo ebreo Abraham ibn Ezra (ca. 1090–1167), che visse a Granada e tradusse molte opere dal l’arabo in ebraico, ne parla nelle sue opere. Egli viaggiò molto in Italia e potrebbe essere stato uno dei primi ad introdurre i quadrati magici in Europa.

La loro diffusione in Europa avvenne però nel Quattrocento con lo sviluppo del neoplatonismo rinascimentale. La caduta dell’Impero d’Oriente nel 1452 portò all’arrivo delle opere di Platone e dei neoplatonici. Il neoplatonismo rinasci-mentale, che ebbe il suo centro in Firenze e il suo più alto esponente in Marsilio Ficino, fu un ricco amalgama di dottrine propriamente platoniche, di neo-platonismo, di altri occultismi filosofici arcaici e di astrologia. A questo si associarono le tecniche numerologiche e combinatorie che vennero introdotte da Pico della Mirandola, sinceramente convinto della possibile convivenza delle sue idee con il cristianesimo. 

Pubblicato anche sulla rivista L'Orizzonte Anno XXVI n. 3