Ho di
recente visitato la necropoli di Tuscania, cittadina laziale di origini etrusche in provincia di Viterbo.
La necropoli
si trova nei pressi di una piccola chiesa rinascimentale e si sviluppa su tre
gradoni lungo il pendio, al primo livello si trova la famosa Grotta della
Regina, subito al di sotto un gruppo di tombe a camera di epoca arcaica e
all’ultimo livello le tombe della Famiglia Curunas e la Tomba del Sarcofago
delle Amazzoni di epoca ellenistica.
La necropoli
è stata oggetto di scavi archeologici condotti dalla famiglia Campanari di
Tuscania agli inizi dell’ottocento.
Gli ipogei hanno
un impianto monumentale ben visibile dalla valle dove scorre il fiume Marta, e
testimoniano l’importanza sociale ed economica della famiglia Curunas. A
confermarlo sono gli oggetti rinvenuti che costituiscono un raro e prezioso
esempio di corredo funerario etrusco, come i raffinatissimi bronzi, un sontuoso
servizio da mensa oltre ad una pregevole serie di ceramiche a figure rosse ora
conservati al Museo Archeologico di Tuscania.
Molto
suggestiva è la Grotta o Tomba della
Regina. Prende il nome dalla leggenda narrata dall’archeologo
Secondiano Campanari secondo cui al momento della scoperta su una parete della
tomba venne vista l’immagine dipinta di
una fanciulla, forse una giovane regina, immagine dissoltasi poco dopo.
La Grotta fu
resa famosa soprattutto dai racconti di viaggio dello scrittore inglese G.
Dennis del 1842 e la sua notorietà è dovuta soprattutto alla sua particolare e
complessa planimetria contraddistinta dalla presenza di numerosi cunicoli che
si dipartono in più direzioni e si sviluppano su tre livelli. Il loro significato
resta ancora da spiegare perché la struttura dell’ipogeo è completamente
differente dalle altre tombe e ne fa supporre l’utilizzo come luogo di culto.
Nel corso
della visita sono stato attratto da una strana farfalla che posata su di una
foglia sembrava non accorgersi dell’inevitabile scompiglio che la visita le
arrecava. Sul suo dorso, lugubri e grandi ali nere ed in più,
strane macchie bianche che con un minimo di fantasia richiamavano l’immagine
di ossa umane. Una figura che incuteva paura. Incredibile!
Al rientro a
casa ho consultato enciclopedia ed ho
appreso che si trattava dell’Arctia Villica (Linnaeus 1758), un lepidottero
particolarmente attivo di notte,
chiamato anche Sfinge dalle ossa di
morto.
Nel testo
consultato ho letto anche che le farfalle hanno una potente
simbologia, son considerate metafore viventi di tutto ciò che è effimero e
incostante, nell’arte poi le farfalle sono simbolo della spiritualità
dell’anima, capace di liberarsi dalla materia bruta così come le loro crisalidi
si liberano dal bozzolo.
Anticamente
le farfalle erano collegate al culto di Moira, la dea della rigenerazione, simbolo
di morte e resurrezione. Per i popoli antichi come Romani, Greci, Celti e
dell’Irlanda e per gli Aztechi era diffusa la credenza che le anime dei morti
si tramutavano in farfalle così come in Italia si ritiene che le anime dei
morti trasmutate in farfalle si avvicinano ai luoghi della loro vita.
Quindi,
dopo queste letture come non pensare, anche se per un momento, che quella
strana farfalla incontrata sulla tomba della Regina ospitasse l’anima di quella
graziosa fanciulla che, disturbata dagli archeologi durante i loro scavi, aveva
inspiegabilmente fatto dissolvere la sua immagine. Era sì scomparsa dagli
affreschi della parete ma il suo spirito restava ancora vigile sotto forma di
farfalla a sorvegliare la sua dimora.
Forse
la suggestione del posto, l’oscurità di quei cunicoli sotterranei, quelle
nicchie che un tempo accoglievano persone defunte, la leggenda della fanciulla
la cui immagine si era inspiegabilmente dissolta e la presenza di una lugubre
farfalla definita, per altro, “Sfinge dalle ossa di morto”, mi hanno
particolarmente colpito e, non lo nascondo, un tantino impaurito.
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