C’è da chiedersi perché
fin dai primordi dell’umanità il serpente ha destato tanta paura; ha ciò un
fondamento o la ragione affonda nei meandri della psiche umana?
Gli studiosi di psicologia chiamano Ofidiofobia la paura dei
serpenti, dei ragni e delle forme serpentine in genere; recenti studi fatti nel campo
da un importante istituto di ricerca (Frontiers in Psychology) confermano che
la paura dei serpenti è una caratteristica innata nella specie umana e che il
nostro cervello riesce ad identificare alcune specie di animali, tra cui ragni
e serpenti, come pericolo, in modo istintuale, prima ancora che questo possa
concretizzarsi. In sostanza quello che oggi è solo una paura inconscia, una
fobia, un tempo era la risposta ad una minaccia concreta per la sopravvivenza
dei nostri antenati.
I serpenti, comunque,
sono stati da sempre centro di interesse in campo scientifico e antropologico.
Nella Bibbia il
serpente è descritto come un animale astuto, ingannatore, simbolo del male,
della tentazione. E’ lui che nel Giardino dell’Eden tenta Eva e, unitamente al
suo compagno Adamo, li fa cacciare via da quel paradiso. Il rettile rappresenta
invidia, cupidigia, avidità, in sostanza il male e la tentazione che allontana
l’uomo da Dio. Anche l’Apocalisse di Giovanni associa il Diavolo al drago descritto
e raffigurato come un serpente che in perenne conflitto con la donna celeste,
insidia e perseguita la sua discendenza.
Il serpente è anche
simbolo della medicina e della farmacia e il suo mito risale all'antica Grecia.
Nell’iconografia i serpenti appaiono attorcigliati attorno ad un bastone o una
verga, per l’appunto il bastone di Asclepio (o Esculapio) che, secondo i miti
dell’antica Grecia, apprese l'arte di curare da suo padre Apollo e dal centauro
Chirone. La legenda tramanda che Zeus, preoccupato dal fatto che Esculapio
facesse divenire immortale l'umanità, grazie al suo potere di guarire, lo
fulminò con una saetta nel tempio dove questi era solito esercitare le sua
arte. Tra le rovine ancora fumanti del grande incendio, causato dal fulmine di
Zeus, furono trovati alcuni serpenti morti. Quando essi furono raccolti per
essere smaltiti, inspiegabilmente rinvennero e scapparono via. Lo strano
fenomeno fu interpretato come conseguenza dell’effetto dei poteri curativi di
Esculapio.
Il grande neurologo, psichiatra e
psicoanalista Sigmund Freud vede nel serpente un simbolo sessuale e lo
considera l’espressione della forza creatrice maschile, forza viva ed attiva a
livello inconscio, al di fuori della sfera consapevole del soggetto.
La paura dei serpenti e
l’incapacità di valutare la loro reale pericolosità spesso condanna a morte
molti rettili che nulla hanno a che vedere con le temibili vipere. Si fanno
così vittime innocenti tra Biacchi, Bisce, Cervoni e Orbettini.
Comunque sia, è assodato
che i serpenti, a torto o a ragione, destano paura, timore, o quanto meno
ribrezzo. Ma non è dovunque così; c’è infatti
un piccolo paese abruzzese dove i serpenti non solo non fanno paura, ma addirittura
sono i benvenuti e protagonisti di una festa che, per la curiosità che desta,
richiama visitatori da ogni parte d’Europa. I serpenti, precocemente svegliati
dal letargo, contribuiscono involontariamente all’economia agricola e pastorale
del paese con il loro partecipare attivamente alla festa patronale che per la
sua tipicità costituisce un richiamo turistico importante.
E’ Cocullo il piccolo
paese abruzzese non lontano dalla più famosa Sulmona, dove ogni anno si rinnova
nei primi giorni di Maggio un’antica usanza, la Festa dei “serpari”, un rito ancestrale
tra il sacro e il profano, in coincidenza col giorno di San Domenico, santo
patrono del paese e, manco a dirlo, protettore dai morsi dei serpenti.
La festa patronale con
la processione del Santo è un irrinunciabile
rito per gli abitanti del luogo che attira anche visitatori e curiosi
da tutte le parti d’Italia. Quest’anno l’adesione dei visitatori, oltre che dei
giornalisti e televisioni di tutta Europa, è stata massiccia per la notizia
data dalle autorità e dalle istituzioni che ben presto la festa sarà dichiarata
dall’Unesco patrimonio dell’umanità.
Quando la ricorrenza si
avvicina “serpari”, di ogni età, si recano sui monti circostanti a caccia di
rettili da poco usciti dal letargo, che in attesa del gran giorno della festa,
vengono conservati in apposite ceste e nutriti in abbondanza. L’attività, e
sopratutto l’abilità del “serparo” si tramanda di padre in figlio e la festa è
sentita come un importante evento identitario della comunità di appartenenza. E’
occasione di una gioiosa gara a chi cattura il maggior numero di serpi,
conquistando in tal modo un ambito premio. E’ opportuno precisare che lo
svolgimento delle operazioni per la cattura e l’utilizzo dei rettili fino alla
loro definitiva liberazione è fatta nella salvaguardia della natura e nel
rispetto della dignità degli animali. E’ inoltre necessario precisare che i
serpenti che vengono catturati non sono particolarmente aggressivi e tantomeno appartengono
a specie pericolose.
Nel giorno della festa il
paese si anima dei tanti “serpari” che spuntano da ogni dove, portando con
orgoglio i serpenti da loro catturati invitando i numerosi presenti a tenerli
in mano.
E’ indescrivibile la gioiosa partecipazione
dei turisti incuriositi che, seppur timorosi, accolgono la proposta per uno
scatto fotografico da inviare ad amici e parenti, esibendo il serpente come un
trofeo di un safari nostrano. L’eccitazione arriva al suo culmine quando la
statua del Santo esce dalla chiesa e viene interamente ricoperta di serpi; così
addobbata percorre tutte le strade del paese tra lo stupore della gente.
La festa ha origini
antichissime che risalgono a quando Cocullo era sede del culto della dea
Angizia, che proteggeva gli antichi popoli dei Marsi e Peligni dai morsi
velenosi delle serpi, numerose in quelle zone paludose. Il nome della dea
deriva direttamente da anguis che in
latino designa il serpente e le sacerdotesse della dea sapevano ricavare
medicinali sia dalle erbe che dal veleno dei serpenti. Plinio il Vecchio, oltre
a descrivere le cerimonie che si svolgevano in onore della dea, narra anche che
le antiche popolazioni della Marsica avrebbero appreso l'arte di incantare i
serpenti da Marso (da cui deriva il nome della terra in cui si erano
insediate), figlio della maga Circe.
Come sovente è
accaduto, sull’antico rito pagano si innestò poi la tradizione cristiana; il
culto della dea Angizia fu sostituito da
quello di San Domenico, le cerimonie pagane ed i pellegrinaggi dei devoti cedettero
il posto alle processioni ed al rito della cattura e dono delle serpi alla
statua del Santo cristiano, San Domenico. Questi secondo la leggenda giunse a Cocullo intorno all’anno 1000 nelle
vesti di Fra’ Domenico, monaco benedettino circondato da un alone di santità che fuggiva
dalla vicina Marsica inseguito dagli eretici che volevano ucciderlo. Fu accolto
dalla comunità locale con grandi manifestazioni di affetto e devozione che il
sant’uomo ricambiò con miracoli e guarigioni.
Ma San Domenico dovette
ben presto lasciare Cocullo, nonostante le richieste e le preghiere dei suoi
abitanti i quali, vista la ferma determinazione del santo, lo pregarono di
lasciare loro qualcosa che li proteggesse contro animali rabbiosi, velenosi o
altrimenti pericolosi. San Domenico si commosse e, portata la mano alla bocca,
estrasse da questa un suo dente molare che donò loro. Il dente si conserva tuttora
nella chiesa a lui dedicata e sembra che sia un amuleto molto efficace contro
le insidie dei serpenti, rendendoli mansueti e docili.
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