giovedì 19 marzo 2020

Il Castello di Lagopesole e la triste storia di Manfredi di Svevia ed Elena degli Angeli





Lagopesole è un piccolo borgo del Comune di Avigliano in provincia di Potenza. Deriva il suo nome da un lago ormai prosciugato, Lacus prensilis, così detto per la sua collocazione in alta collina. E’ noto soprattutto per il castello che fu costruito da Federico II di Svevia su una presistente antica rocca, somigliante, per le sue forme architettoniche gotiche, a quella di Castel del Monte (Andria).  Fu il soggiorno favorito dell’imperatore che lo aveva fatto erigere come residenza di caccia proprio lì, per via del bosco che si estendeva rigoglioso per centinaia di ettari. Il Castello domina l’immensa estensione della valle di Vitalba che va fino all’imponente Monte Vulture. Ragguardevole è l’immagine dell’edificio nelle ore del  tramonto, quando la luce conferisce alle pietre una patina rossastra, che dona alle sue mura ed alle sue torri  una luminosità particolare.
               Il castello è meta di visitatori che vi si recano per conoscere la storia e le gesta del grande Federico II ed in genere della dinastia sveva, che tanta parte ha avuto nella storia dell’Italia meridionale. In questo luogo il Ministero dei beni culturali ha istituito un museo multimediale che raccoglie documenti, reperti e  testimonianze storiche.
               Personalmente ho avuto modo di visitarlo qualche anno addietro e sono rimasto colpito dalla bellezza del luogo e dall’interesse che desta.
               Il castello, unico nel suo genere ha da sempre colpito l’immaginazione di artisti, poeti, fotografi. Un luogo magico, che ha fatto nascere leggende e fantasiose narrazioni di fatti realmente accaduti tra le sue mura. Queste realmente videro la storia d’amore del biondo Manfredi di Svevia e della dolce Elena Ducas, la sua amata sposa, madre dei suoi figli, che per la sua sfolgorante bellezza, a buon ragione, meritò l’appellativo di Elena degli Angeli, la cui vita però fu segnata dalla straziante perdita del suo sposo, dopo essere stata privata dei propri figli.
   La storia  è questa.

               Quello tra Manfredi ed Elena fu un matrimonio combinato  per motivi diplomatici, ma che ben presto si rivelò un matrimonio d’amore grande e profondo tra i due sposi. A Lagopesole essi trascorsero la luna di miele e, a suggello del proprio amore, concepirono ben sei figli, Federico, Costanza, Beatrice, Enrico, Enzo, Flordelis. Furono anni felici quelli trascorsi al castello ma ben presto la felicità della famiglia reale ebbe termine con il consumarsi dei tragici fatti che seguirono la morte di Federico II e le lotte che suo figlio Manfredi dovette sostenere contro i pretendenti al trono del regno di Sicilia che, lasciato senza guida, suscitò tante ambizioni di conquista, non da ultimo da parte della Chiesa.
               Manfredi, primogenito e figlio naturale di Federico II e Bianca dei conti Lancia del Monferrato, fu di bell’aspetto, alto e biondo, di spirito battagliero, indomito e generoso, tipico degli Svevi. Per questo e poiché nutriva le sue stesse passioni fu amato da Federico, forse più dell’altro figlio Corrado; studiò a Parigi e poi a Bologna, apprese dall’augusto genitore l’amore per la poesia e per la scienza - tradusse alcune opere di Aristotele, i cui scritti donò all’Università di Bologna (Alma Mater).
               Dante Alighieri, che lo incontra nel III canto del Purgatorio tra le anime degli scomunicati che poi in punto di morte ebbero a  pentirsi, così ce lo descrive:
 “Io mi volsi ver’ lui e guardail  fiso: biondo era e bello e di gentile aspetto, ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso …”.  
Manfredi accompagnò l’augusto padre nelle sue imprese ed alla sua morte, avvenuta nel 1250 ricevette per testamento possedimenti e rendite e sopratutto la nomina a vicario del regno di Sicilia la cui titolarità sarebbe spettata a Corrado, essendo questi l’erede legittimo, impossibilitato però a svolgerne le relative funzioni, dal momento che si trovava in Germania. La nomina rese  Manfredi inviso al papato, che  aveva ambizioni e mire sul regno siciliano ma, sopratutto, sul patrimonio degli Svevi. Le contese con il papato costarono a Manfredi, prima la scomunica inflittagli da Innocenzo IV e poi, con la morte di Corrado, l’ostilità e i contrasti con i papi successivi. Addirittura Papa Clemente IV lanciò contro di lui una crociata per spodestarlo ed a tale scopo chiamò in soccorso Carlo I d’Angiò che, prontamente, valicò le Alpi e, attraversato il fiume Liri, lo affrontò nella furiosa battaglia di Benevento.
               Manfredi, constatata l’enorme disparità di uomini e mezzi in favore di Carlo, volle ugualmente combattere fianco a fianco dei suoi e resistere così fino alla morte. Fu un massacro per le sue truppe e per lui fu la fine; venne colpito da un suo stesso soldato, che non l’aveva riconosciuto, e che, con un fendente di spada, gli recise la fronte provocandogli quella grande ferita citata da Dante: “l’un de’ cigli un colpo avea diviso …”. Non fu concesso a lui neanche la degna sepoltura che spettava ad un par suo, per non farne un eroe il  suo corpo fu frettolosamente sepolto  sotto un cumulo di pietre sul luogo stesso dello scontro.

               La disfatta di Manfredi segnò la fine della dinastia Sveva, ma anche l’inizio della tragedia per Elena e per i suoi figli; ella fu rinchiusa nel castello di Trani mentre i suoi figli, sottratti alla madre, furono rinchiusi a Castel del Monte.
               L’infelice vedova di Manfredi, da Trani fu a forza condotta a Lagopesole, dove era ad attenderla il nuovo re Carlo d’Angiò. Non si conosce la ragione di quel colloquio; alcuni storici hanno avanzato l’ipotesi che il re pretendeva dall’infelice vedova la rinuncia alle terre che, con il matrimonio, aveva ricevuto in dote, oppure perché, interpretando il desiderio del Papa Clemente IV, pretendeva da essa  un suo nuovo matrimonio con Enrico di Castiglia, zio materno di Carlo. Neppure lo storico lucano Giustino Fortunato nel suo libro sul Castello di Lagopesole ha saputo dirci di più.
               Dopo il colloquio con il re, Elena, ancora di più affranta e frustrata, per la tragica fine del suo amato, per aver appreso della inumana sepoltura riservata al suo sposo e per aver dovuto subire le ignobili pressioni di Carlo proprio in quella dimora che era stata il nido d’amore e culla della sua felicità, fu condotta nella rocca di Nuceria (l’attuale Nocera inferiore) dove si lasciò morire di inedia.  Anche i figli, che già erano stati sottratti alla madre, furono rinchiusi, alcuni a Castel dell’Ovo a Napoli e altri a Castel del Monte, dove trovarono  la morte.
              
               Fin qui la storia, ma la narrazione così tormentata e affascinante ha  sollecitato la fantasia di tanti, specie dei visitatori del Castello che, tra quelle antiche mura, vengono immersi in un’atmosfera surreale e fantastica dove sembra che la storia si sia fermata.
               Si racconta che nelle notti di luna piena si intravede, tra le bifore della facciata del maniero, la figura diafana di una giovane donna, bellissima, con i capelli sciolti e lunghissimi, vestita di bianco, con in mano una piccola lucerna, che scruta lontano in cerca di qualcuno o di qualcosa, mentre la mura del castello lasciano rimbombare il suo pianto disperato e i suoi singulti.
               Si racconta anche che, in concomitanza con l’apparizione del spettro di Elena degli Angeli, anche Manfredi, avvolto da un manto verde, appare cavalcando un cavallo bianco tra i boschi e le radure circostanti, alla ricerca disperata della sua amata che si aggirano in quei luoghi nella vana speranza di poter rivivere la perduta felicità. Ma … nessuno dei due riesce a scorgere l’altro, in un’eterna ricerca, destinati così  a non incontrarsi mai per l’eternità.
 
Pubblicato anche su l'Orizzonte del 14 marzo 2020 

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