Lagopesole è un piccolo borgo del Comune di
Avigliano in provincia di Potenza. Deriva il suo nome da un lago ormai
prosciugato, Lacus prensilis, così detto per la sua collocazione in alta
collina. E’ noto soprattutto per il castello che fu costruito da Federico II di
Svevia su una presistente antica rocca, somigliante, per le sue forme
architettoniche gotiche, a quella di Castel del Monte (Andria). Fu il soggiorno favorito dell’imperatore che lo
aveva fatto erigere come residenza di caccia proprio lì, per via del bosco che si
estendeva rigoglioso per centinaia di ettari. Il Castello domina l’immensa
estensione della valle di Vitalba che va fino all’imponente Monte Vulture.
Ragguardevole è l’immagine dell’edificio nelle ore del tramonto, quando la luce conferisce alle
pietre una patina rossastra, che dona alle sue mura ed alle sue torri una luminosità particolare.
Il castello è meta di visitatori che vi si recano
per conoscere la storia e le gesta del grande Federico II ed in genere della
dinastia sveva, che tanta parte ha avuto nella storia dell’Italia meridionale.
In questo luogo il Ministero dei beni culturali ha istituito un museo multimediale
che raccoglie documenti, reperti e testimonianze
storiche.
Personalmente
ho avuto modo di visitarlo qualche anno addietro e sono rimasto colpito dalla
bellezza del luogo e dall’interesse che desta.
Il
castello, unico nel suo genere ha da sempre colpito l’immaginazione di artisti,
poeti, fotografi. Un luogo magico, che ha fatto nascere leggende e fantasiose
narrazioni di fatti realmente accaduti tra le sue mura. Queste realmente videro
la storia d’amore del biondo Manfredi di Svevia e della dolce Elena Ducas, la
sua amata sposa, madre dei suoi figli, che per la sua sfolgorante bellezza, a buon
ragione, meritò l’appellativo di Elena degli Angeli, la cui vita però fu segnata dalla straziante perdita del suo sposo,
dopo essere stata privata dei propri figli.
La
storia è questa.
Quello
tra Manfredi ed Elena fu un matrimonio combinato per motivi diplomatici, ma che ben presto si rivelò
un matrimonio d’amore grande e profondo tra i due sposi. A Lagopesole essi trascorsero
la luna di miele e, a suggello del proprio amore, concepirono ben sei figli, Federico,
Costanza, Beatrice, Enrico, Enzo, Flordelis. Furono anni felici quelli
trascorsi al castello ma ben presto la felicità della famiglia reale ebbe
termine con il consumarsi dei tragici fatti che seguirono la morte di Federico
II e le lotte che suo figlio Manfredi dovette sostenere contro i pretendenti al
trono del regno di Sicilia che, lasciato senza guida, suscitò tante ambizioni
di conquista, non da ultimo da parte della Chiesa.
Manfredi,
primogenito e figlio naturale di Federico II e Bianca dei conti Lancia del
Monferrato, fu di bell’aspetto, alto e biondo,
di spirito battagliero, indomito e generoso, tipico degli Svevi. Per questo e
poiché nutriva le sue stesse passioni fu amato da Federico, forse più
dell’altro figlio Corrado; studiò a Parigi e poi a Bologna, apprese dall’augusto
genitore l’amore per la poesia e per la scienza - tradusse alcune opere di
Aristotele, i cui scritti donò all’Università di Bologna (Alma Mater).
Dante
Alighieri, che lo incontra nel III canto del Purgatorio tra le anime degli
scomunicati che poi in punto di morte ebbero a pentirsi, così ce lo descrive:
“Io mi
volsi ver’ lui e guardail fiso: biondo
era e bello e di gentile aspetto, ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso …”.
Manfredi
accompagnò l’augusto padre nelle sue imprese ed alla sua morte, avvenuta nel
1250 ricevette per testamento possedimenti e rendite e sopratutto la nomina a
vicario del regno di Sicilia la cui titolarità sarebbe spettata a Corrado,
essendo questi l’erede legittimo, impossibilitato però a svolgerne le relative
funzioni, dal momento che si trovava in Germania. La nomina rese Manfredi inviso al papato, che aveva ambizioni e mire sul regno siciliano ma,
sopratutto, sul patrimonio degli Svevi. Le contese con il papato costarono a
Manfredi, prima la scomunica inflittagli da Innocenzo IV e poi, con la morte di
Corrado, l’ostilità e i contrasti con i papi successivi. Addirittura Papa
Clemente IV lanciò contro di lui una crociata per spodestarlo ed a tale scopo
chiamò in soccorso Carlo I d’Angiò che, prontamente, valicò le Alpi e,
attraversato il fiume Liri, lo affrontò nella furiosa battaglia di Benevento.
Manfredi, constatata l’enorme
disparità di uomini e mezzi in favore di Carlo, volle ugualmente combattere
fianco a fianco dei suoi e resistere così fino alla morte. Fu un massacro per
le sue truppe e per lui fu la fine; venne colpito da un suo stesso soldato, che
non l’aveva riconosciuto, e che, con un fendente di spada, gli recise la fronte
provocandogli quella grande ferita citata da Dante: “l’un de’ cigli un colpo
avea diviso …”. Non fu concesso a lui neanche la degna sepoltura che spettava
ad un par suo, per non farne un eroe il
suo corpo fu frettolosamente sepolto
sotto un cumulo di pietre sul luogo stesso dello scontro.
La
disfatta di Manfredi segnò la fine della dinastia Sveva, ma anche l’inizio
della tragedia per Elena e per i suoi figli; ella fu rinchiusa nel castello di
Trani mentre i suoi figli, sottratti alla madre, furono rinchiusi a Castel del
Monte.
L’infelice
vedova di Manfredi, da Trani fu a forza condotta a Lagopesole, dove era ad
attenderla il nuovo re Carlo d’Angiò. Non si conosce la ragione di quel
colloquio; alcuni storici hanno avanzato l’ipotesi che il re pretendeva dall’infelice
vedova la rinuncia alle terre che, con il matrimonio, aveva ricevuto in dote,
oppure perché, interpretando il desiderio del Papa Clemente IV, pretendeva da
essa un suo nuovo matrimonio con Enrico
di Castiglia, zio materno di Carlo. Neppure lo storico lucano Giustino
Fortunato nel suo libro sul Castello di Lagopesole ha saputo dirci di più.
Dopo
il colloquio con il re, Elena, ancora di più affranta e frustrata, per la
tragica fine del suo amato, per aver appreso della inumana sepoltura riservata
al suo sposo e per aver dovuto subire le ignobili pressioni di Carlo proprio in
quella dimora che era stata il nido d’amore e culla della sua felicità, fu
condotta nella rocca di Nuceria (l’attuale Nocera inferiore) dove si lasciò
morire di inedia. Anche i figli, che già
erano stati sottratti alla madre, furono rinchiusi, alcuni a Castel dell’Ovo a
Napoli e altri a Castel del Monte, dove trovarono la morte.
Fin
qui la storia, ma la narrazione così tormentata e affascinante ha sollecitato la fantasia di tanti, specie dei
visitatori del Castello che, tra quelle antiche mura, vengono immersi in un’atmosfera
surreale e fantastica dove sembra che la storia si sia fermata.
Si racconta che nelle notti di
luna piena si intravede, tra le bifore della facciata del maniero, la figura
diafana di una giovane donna, bellissima, con i capelli sciolti e lunghissimi,
vestita di bianco, con in mano una piccola lucerna, che scruta lontano in cerca
di qualcuno o di qualcosa, mentre la mura del castello lasciano rimbombare il
suo pianto disperato e i suoi singulti.
Si
racconta anche che, in concomitanza con l’apparizione del spettro di Elena
degli Angeli, anche Manfredi, avvolto da un manto verde, appare cavalcando un
cavallo bianco tra i boschi e le radure circostanti, alla ricerca disperata
della sua amata che si aggirano in quei luoghi nella vana speranza di
poter rivivere la perduta felicità. Ma … nessuno dei due riesce a scorgere
l’altro, in un’eterna ricerca, destinati così a non incontrarsi mai per l’eternità.
Pubblicato anche su l'Orizzonte del 14 marzo 2020
Nessun commento:
Posta un commento