Il turista che si reca
al Foro romano lo fa perché spinto dal desiderio di immergersi in un luogo esistente
da oltre duemila anni dove sono racchiusi i più antichi monumenti di carattere sacro
e civile attribuiti dalla tradizione ai re di Roma. Un viaggio nella storia di
una grande civiltà fatta di cultura, arte e regole giuridiche che hanno formato
il carattere di intere generazioni, di molte civiltà del mondo. In quel luogo
rimangono in una immobilità assoluta gli stessi templi, le stesse colonne, le
stesse mura della città eterna, preservati dalla completa rovina da un Tempo
che ha mostrato clemenza per quella magnificenza che spesso supera anche la nostra
immaginazione.
Nel camminare tra quei
cardi e decumani solcati ancora dalle tracce dei carri si avverte una
indicibile emozione e “ci si sente
compenetrati dai grandi decreti del destino”(Goethe).
Immersa nel Foro
troviamo Santa Maria Antiqua, definita la Cappella Sistina del Medioevo, da
poco restaurata e dalla primavera scorsa aperta al pubblico; essa rappresenta
una delle principali attrazioni del luogo per lo straordinario patrimonio di
affreschi che costituiscono una testimonianza unica dell’arte cristiana dei
primi secoli dopo Cristo.
E’ stata ricavata nel
VI - VII secolo in un complesso di ambienti di rappresentanza costruiti ai
piedi del colle Palatino che introducevano attraverso una monumentale rampa
alla residenza imperiale di Domiziano. Da subito la basilica assunse una grande
importanza nel Foro, nel cuore della Roma pagana che andava via via trasformandosi
in un luogo cristiano e arricchendosi di un patrimonio unico di affreschi,
sculture e dipinti. Celebre è quello della Vergine, nel tempo molto venerato,
presente in Santa Maria Antiqua di cui Giovanni VII (papa dal 705 al 707) fece la
sua cappella personale.
Nell’847 un forte
terremoto rese inagibile la basilica seppellendola con una spessa coltre di
macerie. Il lungo sonno durò oltre un millennio e solo all’inizio del secolo
scorso essa fu riportata alla luce ed avviata ad un lungo restauro. Il tragico
evento tellurico fu però clemente con essa; inoltre la copertura di terriccio e
macerie degli edifici sovrastanti preservò le strutture portanti e il
patrimonio artistico della basilica.
La cappella a sinistra
dell’abside è molto suggestiva e custodisce un affresco che mi procura forte
emozione; rappresenta il martirio San Quirico e di Santa Giulitta, sua madre.
Fu costruita verso la
metà dell’VIII secolo da Teodoto, ricco ufficiale della corte di Diocleziano.
Un tempo era ricoperta di marmo, successivamente la pietra fece spazio al muro
affrescato con la rappresentazione del brutale martirio dei santi.
Abito nella città
metropolitana di Roma da oltre quarant’anni ed il Foro romano costituisce per
me, fra l’altro appassionato di archeologia, una delle mete preferite. Da un
po’ di tempo mi dirigo spedito alla basilica di Santa Maria Antiqua per
ammirare ancora una volta gli affreschi in essa custoditi ed in particolare
quelli rappresentanti il martirio dei santi Quirico e Giulitta.
Perché mai tanto
interesse?
Sono nato a San
Chirico Raparo in Basilicata e nella mia infanzia ho sempre sentito raccontare del
martirio di San Quirico da mia nonna e mia madre, che me ne hanno trasmesso il
culto. Il Santo è uno dei patroni del paese, venerato con devozione non solo da
tutta la cittadinanza ma anche da coloro
che, emigrati per ragioni di lavoro e sparsi per il mondo, custodiscono nel
loro cuore l’amore per questo piccolo martire, la cui celebrazione ricorre il
15 luglio.
Nei miei viaggi in
Italia ho spesso incontrato località e luoghi di culto con nomi tipo Quirico o
Chirico in cui sono presenti testimonianze della devozione verso il Santo per
cui mi sono reso conto di quanto essa sia diffusa e sentita.
Quindi la venerazione
per questo piccolo testimone della fede cristiana fa parte di me e una grande
commozione mi pervade nel guardare l’affresco del martirio di Quirico e
Giulitta, sua madre, in cui la scena dell’uccisione del bimbo è resa col più
crudo realismo. Quirico, bambinetto di pochi anni, viene violentemente scaraventato
a terra con estrema brutalità dal carnefice sotto lo sguardo impietrito di
Giulitta.
La realistica
testimonianza dell’affresco tardo medioevale rafforza quello che è codificato
nel Martirologio romano [2]
e i racconti tramandati oralmente nel corso dei secoli.
La storia ci racconta
di Giulitta, di fede cristiana, e Quirico, madre e figlio, ancora infante, i
quali, per sfuggire alla persecuzione di Diocleziano nel 303 d. C., si rifugiarono
a Tarso nell’Asia minore. Giulitta, essendo di nobili origini, fu condotta
dinnanzi al tribunale del proconsole Alessandro che tentò in tutti i modi di
farle abiurare la propria cristianità. La nobildonna resistette e subì percosse
e maltrattamenti cui assistette Quirico che, nel vedere la madre così
torturata, scoppiò a piangere. Alessandro provò a calmarlo e a servirsene per
costringere la madre a rinnegare il proprio credo. Il bambino, di soli tre
anni, inspiegabilmente e miracolosamente, iniziò a parlare affermando di essere
anche lui cristiano e, nel tentativo di difendere la madre, colpì con pugni e
graffi Alessandro. Colto da funesta ira, il proconsole lo scaraventò a terra
fracassandogli il cranio ed uccidendolo sul colpo. La donna, pur impietrita
dall’orrore e dal dolore, ringraziò Dio di aver fatto di suo figlio un martire,
forse il più giovane tra le migliaia di cui poi il Martirologio romano darà
conto.
Successivamente Giulitta
venne decapitata ed il suo corpo e quello di Quirico furono nascosti in un
luogo segreto, svelato solo dopo l’editto di Costantino che nel 313 riconobbe
alle comunità cristiane piena libertà di culto e parità di diritti nei
confronti tutte le altre comunità dell’Impero.
Pubblicato anche su L'ORIZZONTE Anno XXV Numero 2
[2] Il Martirologio romano è un testo in
cui sono riportate le vite dei santi e dei beati nonché i giorni ad essi
dedicati per le celebrazioni liturgiche.
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