giovedì 7 agosto 2025

Nicola Maria Magaldi nel libro di Giuseppe Aloisio




Una lettera - recensione al libro.

Caro Pinuccio, sarebbe stata mia intenzione scriverti subito dopo aver ricevuto via e-mail l’anteprima del tuo libro sulla vita e ed il vissuto di Nicola Maria Magaldi (1822-1861), politico e patriota lucano, ma, la difficoltà di leggere su di uno schermo di computer hanno vanificato il mio proposito.
Innanzi tutto grazie per avermi inviato il libro in versione cartacea e per aver pensato a me. Anche io ho vivo l’interesse ad approfondire fatti e storie che alla luce degli avvenimenti che si sono susseguiti hanno offerto spunti per la interpretazione diverse da quelle canonizzate dai libri di storia.
Ho letto con molto interesse il tuo libro che, per la chiarezza dell’esposizione dei fatti narrati, nella serenità del giudizio per la valutazione degli episodi, con stile sobrio ed incisivo hanno reso la lettura scorrevole ed interessante.
Ho molto apprezzato l’impegno che hai posto nella ricerca della documentazione e nella ricostruzione degli eventi storici, di talché il libro costituisce a mio avviso un’importante pagina di storia risorgimentale della nostra regione, la Basilicata, ed un contributo offerto al lettore affinché questi possa approfondire ed esprimere, alla luce degli eventi storici che si sono susseguiti nel corso di ben centocinquant’anni, un personale ed obiettivo giudizio. La storia, infatti, ha una profonda valenza culturale, ci insegna da dove veniamo, le nostre radici, su quali valori morali e civili si basa la nostra società. “La storia, come ci ricorda Cicerone, è “testimonianza del passato, luce di verità, via della memoria, maestra di vita, ……..”

Nel tuo libro appare chiara e limpida la figura di Nicola Maria Magaldi, uomo di eccelso spessore culturale, politico animato da profondo amor di patria che seppe interpretare e rappresentare nelle istituzioni in cui fu chiamato a svolgere ruoli importanti, le istanze della comunità lucana in un delicato momento in cui la declinante monarchia borbonica cedeva il passo alla nascente unità nazionale.
Uomo  che amava profondamente la nostra terra e onesto liberale che non approfittò minimamente della propria posizione come uno degli artefici della insurrezione della Lucania e della costituzione del suo governo provvisorio. Dopo averne fatto parte come segretario lasciò ogni incarico e ritornò alla sua vita di avvocato.
Purtroppo la rivoluzione liberale della Lucania si rivelò una rivoluzione a metà in quanto il conservatorismo dei nuovi governanti deluse le aspettative della grande massa della popolazione conservando lo status quo”, facendo nulla per migliorarne la condizione di estrema povertà ed oppressione, per innalzarne il livello di istruzione, per promuovere riforme sociali ed economiche, per favorire la mobilità collegando, grazie ad opportune infrastrutture, le zone interne con il resto della regione e con le regioni limitrofe al fine di favorire gli scambi ed il commercio.
Tutto ciò non fece che inasprire gli anime delle masse che non riscontravano miglioramento alcuno nelle loro misere condizioni di vitae di lavoro, anzi si sentivano ancora più oppresse.
Nicola Maria Magaldi, come altri liberali che erano stati ispiratori e promotori della rivoluzione, rimase colpito dai moti di ribellione delle masse contadine che diedero origine al brigantaggio che caratterizzò la storia della Lucania per un decennio.
Il suo essere un convinto ed onesto liberale lo avrebbe sicuramente portato ad operare politiche più favorevoli al benessere della popolazione e non già, come accadde a tradirne le aspettative, dopo suscitate con promesse di giustizia sociale.
Tanta stima godeva da parte della popolazione che venne eletto a grande maggioranza consigliere provinciale per il mandamento di San Chirico Raparo, incarico che non riuscì neppure ad intraprendere dal momento che la morte lo colse a soli 39 anni di età.

 Le vicende della vita di Nicola Maria Magaldi offrono non pochi spunti e parallelismi con quella del mio avo Francesco Paolo Castronuovo che anch’io ho raccontato nel mio libro (1) , vissuto nel vicinissimo Carbone,  nel medesimo periodo storico e, come il protagonista del tuo libro, annoverato da Tommaso Pedio tra i patrioti lucani. Si distinse per essere stato un valente giurista, letterato, per la nobiltà dei suoi ideali e trasparenza di vita. Si prodigò e lottò per quello che credeva essere il bene della sua comunità e per realizzare un’Italia migliore. Anche il mio avo, come ti è noto, subì persecuzioni dall’opprimente polizia borbonica; anch’egli partecipò attivamente ai moti insurrezionali del 1948 subendo più volte condanne per aver fomentato la rivolta di operai e dei contadini che rivendicavano l’usurpazione delle terre da parte dei baroni e dei latifondisti.
Caro Pinuccio, scrivo queste poche righe per complimentarmi del tuo lavoro ed esprimerti i sensi della mia stima ed amicizia.

Pino Ferrara

      Nota 1   Francesco Paolo Castronuovo - giurista, letterato e patriota lucano









lunedì 4 agosto 2025

La Base geodetica di padre Angelo Secchi






A pochi passi dalla Tomba di Cecilia Metella sull’Appia Antica è posta una lapide che ricorda la scoperta scientifica dello scenziato Angelo Secchi che nel 1855 aveva individuato in quel luogo il punto trigonometrico che, insieme all’altro posizionato sempre sull’Appia antica in località Frattocchie, costituiva la base geodetica sulla quale fu poi verificata la Rete Geodetica Italiana.







Gli studi erano stati già condotti nel 1751 dallo scenziato Boscovich ma non erano stati portati a termine perché non erano stati identificati i punti trigonometrici fondamentali
Angelo Secchi fu un famoso astrofisico che condusse importanti scoperte nel campo della spettrografia; è sua la classificazione spettrografica della luce delle stelle. La scoperta si basava sull’osservazione della loro luce che, analizzata con l’ausilio di un prisma ottico, veniva associata e collegata alla temperatura dei corpi celesti da cui era emanata. 

Nel periodo in cui lo scenziato fu direttore dell’osservatorio del Collegio Romano, tra l’altro,determinò la differenza  di longitudine tra il suo osservatorio e quello di Napoli presso la reggia di Capodimonte, collegando così Roma con i meridiani fondamentali del globo terrestre.

venerdì 27 ottobre 2023

"La cattura di Cristo" di Caravaggio"


La Presa di Cristo

Di proprietà della comunità gesuita di Dublino, la tela è in prestito a tempo indeterminato nella National Gallery of Ireland di Dublino ed ora giunta ad Ariccia, comune situato nel cuore del Parco dei Castelli Romani. Durante il soggiorno romano dell’artista, Ciriaco Mattei commissionò al Caravaggio il dipinto. Suo fratello, il cardinale Girolamo Mattei ne avrebbe suggerito il soggetto con il Bacio di Giuda, l’iconografia e l’ambientazione. Il 2 gennaio 1603 il committente lo pagava centoventicinque scudi.
L’azione è raffigurata su una tela posta in orizzontale. Gesù è raffigurato immobile e dimesso; Giuda lo schiaccia. Il centro visivo del quadro è formato dalle due teste contrapposte dei protagonisti. Il perno compositivo della scena è fissato dai volti del Cristo, che prefigura i patimenti e la sua Passione, di Giuda e di San Giovanni, che è colto in fuga, dal viso bloccato in un urlo, che presagisce le sofferenze del Messia che seguiranno alla sua Cattura.
Sul lato destro del quadro un uomo, che assiste alla cattura di Gesù e che illumina la scena con una lanterna, avrebbe le sembianze del Caravaggio stesso. La lanterna in mano al Caravaggio, secondo un altro storico d’arte Maurizio Marini, ricorderebbe Diogene e la ricerca della fede e della redenzione a cui il pittore tendeva. La frenesia dell’insieme, data dallo sbilanciamento delle figure e ravvisata dai guizzi di luce sulle corazze dei soldati, rende il fare concitato e dinamico della scena.

Il quadro è stato ritrovato a Dublino nel 1990 da Sergio Benedetti, curatore della National Gallery of Ireland, che aveva ricevuto l’incarico di esaminarlo da Padre Noel Barber, al fine di poterne effettuare un restauro a scopo commerciale. Non appena furono rimossi i primi strati di depositi superficiali emerse chiaramente la maestria con cui era stato realizzato, e si incominciò a ipotizzarne l’attribuzione al Caravaggio. Nella Presa di Cristo c’è l’autoritratto di Caravaggio. È la prima volta in assoluto che Caravaggio si inserisce in una sua composizione con una funzione così importante. Il suo autoritratto, difatti, compare anche in altri dipinti, come il Martirio di San Matteo. Quello che ammiriamo nella Presa di Cristo è il terzo autoritratto del Caravaggio all’interno di un suo dipinto, ma la prima in assoluto con una funzione importante, proprio per il significato del dipinto.

 

domenica 13 agosto 2023

CASTEL SAVELLI, millenario testimone della storia del territorio tuscolano



A pochi chilometri da Roma, nel territorio di Grottaferrata, e precisamente al Km 7 della Via Anagnina, si trovano, nonostante le ingiurie del tempo e l’abbandono delle istituzioni e degli abitanti, i resti di un imponente fortezza medioevale risalente, per quanto risulta dalle fonti storiche, all’anno 1140, il Castello Savelli anche chiamato Borghetto Savelli.

Poco visibile per la sua posizione in quota più elevata rispetto alla strada rotabile e rinchiuso da un impenetrabile recinzione posta a protezione della proprietà privata su cui insiste, il castello è testimone della storia millenaria del territorio che ha visto protagonista l’importante e famosa Abbazia di Santa Maria o di San Nilo da Rossano calabro, nonché dell’alternarsi di famiglie del tempo, in contesa per il predominio sulle vie di passaggio sulla Via Latina e sulla Valle Marciana, con l’evidente scopo dell’imposizione di “gabelle” per l’uso delle vie di comunicazione.
Per il Borghetto Savelli, in origine del tutto indipendente da altri insediamenti abitativi, sorto sulla citata via di comunicazione era presumibilmente dotato di osterie, stalle, o di altre strutture a servizio dei viaggiatori.

Difficile stabilire l’esatta epoca del successivo incastellamento, ossia l’affiancamento del borgo ad un castrum con la costruzione di imponenti mura ancora ben conservate.
Il castello Savelli aveva forma rettangolare con un perimetro complessivo di 380 metri, ed una lunghezza per i lati maggiori di 140 metri. Era fornito di 13 torri quadrangolari ed un ampio recinto murario, realizzati con blocchi squadrati, ancora ben conservati. Vi erano annesse una chiesa e una torre campanaria.
Il castello fu edificato dai Conti di Tuscolo nel X secolo per l'imposizione di una tassa per il passaggio sul tracciato della Via Anagnina attraversata da un robusto flusso di pellegrini e viaggiatori.
Nel 1296 il castello divenne proprietà degli Annibaldi e da quel momento prese il nome di Burgus Annibaldi (1). Il cardinale Riccardo Annibaldi, nipote del papa Innocenzo III, infatti, nel perseguire una strategia incentrata sul controllo della via

Latina, aveva acquisito importanti insediamenti nella regione tuscolana, oltre al castello in territorio di Grottaferrata – citato negli atti di acquisto come Monte Frenello - anche quello di Molara e di Rocca di Papa (2).

Dal 1382 il castello passa alla proprietà dei Savelli, e nel 1417 il cardinal Iacopo Isolani, membro della famiglia e legato apostolico, esonera gli abitanti del Tenimentum castri burgi Frenelli dal pagamento delle tasse, che erano divenute estremamente onerose per gli abitanti della regione.

Nel 1473 il castello, agli atti definito Castrum Burgetti o Burghetti, viene ceduto dai Savelli all'Abbazia di Grottaferrata in cambio del feudo di Ariccia

in possesso dei monaci. Così il castello diventa proprietà del Monastero(3) ed entra a far parte degli avamposti difensivi dell'abbazia.

Da quest’ultima data in poi le notizie attinte da fonti non ufficiali, diventano lacunose ed incerte. Sembra che, cessata l’esigenza per l’Abbazia di avere strutture a difesa del fronte Nord-Est (la Valle Marciana), e, cessati i proventi dei “pedaggi” sulla via Anagnina, aboliti dai Savelli, la gestione del castello divenne estremamente onerosa tanto da indurre i monaci ad alienarlo (4). Da allora e fino ai giorni nostri, sembra che ci siano stati numerosi passaggi di proprietà.



Note e documenti consultati
1 L’acquisizione è attestata da un documento risalente al 2 maggio 1296 in cui compare la prima attestazione certa del Burgus Montis Frenelli.
2 Valeria Beolchini, Tusculum II. Tuscolo una roccaforte dinastica a controllo della valle Latina, pag. 206
3 Regestum Bessarionis Il Cardinale Bessarione si occupò del recupero di molte proprietà e del riordinamento dell’amministrazione. Istituì la "Platea o Regestum Bessarionis", un vero e proprio censimento particolarmente tante per ricostruire la storia dei possessi del monastero.
4 Altre fonti: Carrocci – Vendittelli , L’origine della campagna romana, 2004,38,40,59. 
 
Pubblicato anche sulla rivista Castelli Romani, N. 2 del 2021

lunedì 28 novembre 2022

Il Mitreo di Marino

 

 Al pari di Roma (pal. Barberini) e Santa Maria Capua Vetere, anche Marino (Castelli romani) custodisce un interessantissimo Mitreo dedicato al culto pagano di Mitra, dio del cosmo, della luce e della guerra.

Mitra, divinità dell’induismo e della religione persiana, entra nella storia con l’espandersi dell’Impero romano nel 1° secolo d. C. portando con sé riti di iniziazione di natura esoterica, culturale e religiosi. Il dio era spesso accomunato ad Apollo o alla divinità  solare Elio. Il sacrificio caratteristico di questo culto era la tauroctomia  e cioè l’uccisione del toro.

La scoperta del Mitreo di Marino, sito dall’importante valore artistico ed  archeologico, avvenne in maniera assolutamente casuale nel 1960 durante uno scavo effettuato per la realizzazione di una cantina con annessa grotta per la conservazione del vino.

  Il Mitreo era stato realizzato con le caratteristiche costruttive delle cisterne romane: ricavato in una preesistente cisterna d’acqua con  volta a botte scavata  nella pietra locale, il Peperino, con pareti rivestite da intonaco di coccio pesto.

Sulle pareti laterali sono raffigurati i dadofori, Cautes con la fiaccola alzata verso il cielo e Cautopates con la fiaccola abbassata verso terra; sul pavimento restano ancora tracce dei podia per gli iniziati che assistevano ai riti misterici.

Sulle pareti, poi, rimangono piccole nicchie per l’alloggiamento di lucerne che servivano per l’illuminazione. La galleria così formata è lunga circa 30 metri e termina con un dipinto famosissimo e  ben conservato.

E’ rappresentato Mitra che vestito all’orientale con berretto frigio, tunica e calzoni rossi appare nel momento che taglia la gola ad un toro bianco ed un cane, un serpente e uno scorpione che partecipano alla uccisione dell’animale. Dalla coda del toro spuntano alcune spighe di grano, simbolo della rinascita della terra.