Una curiosa storia appresa durante una visita all’antica Spezieria di Santa Maria della Scala.
In una delle “giornate di primavera” organizzate dal FAI- Fondo per l’Ambiente Italiano, mi è capitato di visitare l’antica Spezieria di S.Maria della Scala dei monaci carmelitani.
Il FAI gestisce beni di grandissimo valore artistico, paesaggistico ed ambientale, e nell’ambito delle sue attività di restauro e valorizzazione, organizza visite guidate da archeologi, storici dell’arte che prestano volontariamente la loro opera. Le visite organizzate nelle “giornate di primavere” sono dedicate a luoghi non aperti abitualmente al pubblico. La Spezieria di S. Maria della Scala è uno di questi siti.
S. Maria delle Scala fu edificata nell’VIII secolo nel luogo su di una scala di ingresso ad una casa esisteva un ritratto di una Madonna alla quale venivano attribuiti un numero impressionante di miracoli. Per effetto di ciò, il luogo divenne ben presto meta di pellegrini in cerca di guarigioni miracolose. La scala, naturalmente, oggi non esiste più ma l’immagine miracolosa è tuttora conservata nella Cappella .
L’Antica Spezieria si trova nell’annesso convento dei frati carmelitani ed è la farmacia più antica di Roma, famosa per aver ideato l’”acqua antisterica” e l’”acqua antipestilenziale”. Originariamente istituita per le necessità dei frati, ben presto divenne così famosa che vi ricorrevano anche principi, cardinali e perfino medici dei pontefici..
I monaci coltivavano nell’orto le piante medicinali e preparavano nel laboratorio i rimedi con ausilio degli alambicchi, mortai, bilance conservate intatte fino ai nostri giorni. Tra i cimeli più singolari vi è un rarissimo erbario del monaco Basilio: “Trattato delli semplici” ed una grande vasca di alabastro per la preparazione della “Theriaca”
Il nome deriva dal vocabolo greco “therion”, usato per indicare la vipera o gli altri animali velenosi in genere), dotato di virtù magiche e capace di risolvere ogni tipo di male, prescritto ininterrottamente dai medici per 18 secoli. In origine il suo uso principale era quello di combattere i veleni iniettati tramite il morso di “fiere velenose” e la sua invenzione si fa risalire a Mitridate, re del Ponto, il quale ne faceva uso quotidiano per combattere la paura ossessiva di essere avvelenato.
Si tramanda che la ricetta per la sua preparazione sia stata ritrovata da Pompeo nella cassetta di quel re e da qui il primitivo nome di “elettuario di Mitridate”. Fu Andromaco il Vecchio, medico di Nerone, che perfezionò la ricetta, aggiungendo la carne di vipera, certo che il suo uso avrebbe aumentato le virtù dell’antidoto. Nasceva così la Theriaca Magna o Theriaca di Andromaco, perfezionata poi da Critone, medico di Traiano. Galeno, nel “De teriaca ad Pisonem”, esaltò l’azione portentosa della theriaca e sostenne che era sufficiente assumerne ogni giorno una certa quantità per essere protetti dai più potenti veleni.
L’elemento più curioso della preparazione è la carne di vipera dei Colli Euganei, femmina, non gravida, catturata qualche settimana dopo il letargo invernale, privata della testa, della coda e dei visceri, bollita in acqua di fonte salata ed aromatizzata con aneto, triturata, impastata con pane secco, lavorata in forme tondeggianti della dimensione di una noce e posta ad essiccare all’ombra.
Si racconta che la produzione della theriaca raggiungeva livelli tali da causare veri e propri disastri ambientali per quanto riguarda la cattura delle vipere. Si rimediava alla penuria con l’importarle dall’Egitto con navi appositamente allestite e chiamate “viperaie”.
La preparazione, per raggiungere il massimo dell’efficacia, doveva “maturare” per almeno sei anni, ed era considerata valida fino al 36 anno.
La teriaca era il rimedio sovrano per un’infinità di malattie che spaziavano dalle coliche addominali alle febbri maligne, dall’emicrania all’insonnia, dall’angina ai morsi delle vipere e dei cani, dall’ipoacusia alla tosse. Veniva utilizzata per frenare la pazzia e per risvegliare gli appetiti sessuali, per ridare vigore ad un corpo indebolito, nonché per preservare dalla lebbra e dalla peste.
Le modalità di somministrazione ed il dosaggio variavano a seconda della malattia, dell’età e del grado di debilitazione del paziente. Si assumeva stemperata nel vino, nel miele, nell’acqua o avvolta in foglia d’oro, in quantità variabile da una dramma (1,25 g circa) a mezza dramma, ma la conditio sine qua non affinché la teriaca fosse efficace era che doveva essere assunta dopo aver purgato il corpo, altrimenti il rimedio sarebbe stato peggiore del male. Per i trattamenti con la Teriaca il periodo più favorevole era l’inverno, seguito dall’autunno e dalla primavera. Da evitare, a meno di una situazione particolarmente grave, l’estate.
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