venerdì 2 ottobre 2020

NICOLA SOLE

 il grande poeta lucano che cantò la bellezza della sua terra

 

 


  Come sei bella,

terra dei forti, or che distende il cielo

un manto azzurro su le tue montagne,

e nel suo riso la recente luna

i tuoi boschi inargenta! A me diletta

ride ogni itala zolla: eppur le tue

aure bevvi vagendo, e nel tuo seno

dormono i padri miei. Tutto a te diede

clemente il cielo; le montagne e i mari,

i vulcani e le nevi, il fosco abete

e l’aureo pomo oriental, franati

brulli dirupi ed ondulati piani

ricchi d’alberi e d’acque e di verzura,

e pampinosi poggi, e lauri, e tutto!N

Ed i tuoi figli, rispondenti al suolo,

ne la battaglia eroi, soavi al canto,

ed atti al greve meditar profondo.

 

Sono gli accorati versi di Nicola Sole, tratti dalla sua opera “Al mar Jonio” (canto XII) con cui il poeta esprime il suo immenso amore per la Lucania, che dette i natali a lui ma anche ad una nutrita schiera di poeti i quali cantarono la bellezza di questa terra: il famoso Quinto Orazio Flacco (Venosa anno 65 a.C) noto per il  suo motto epicureo carpe diem, la poetessa di Valsinni Isabella Morra, ed i più recenti Albino Pierro, Leonardo Sinisgalli, e Rocco Scotellaro.

 Nicola Sole nacque a Senise in provincia di Potenza il 31 marzo del 1821da famiglia benestante; ricevette una prima formazione dallo zio Giuseppe, sacerdote. Ben presto il fanciullo manifestò notevoli doti e capacità di apprendimento per cui, su suggerimento e sollecitazione dello zio, fu mandato nel 1831 al seminario della diocesi di Anglona e Tursi per studiare lettere e teologia. Nicola, però, più che alla teologia si mostrò interessato alle materie scientifiche per cui, forse anche per consiglio del suo precettore, iniziò gli studi di scienze naturali e medicina.

La necessità di fare esperienza di chirurgo e cerusico, primo passo per la conclusione dei suoi studi, lo portò a risiedere per ben 5 anni a San Chirico Raparo dove, presso il dott. Giuseppantonio Tortorelli, medico del paese, acquisì tutte la necessaria formazione dell’arte medica. Ottenuta la “licenza”, cioè il titolo di cerusico, proseguì nel 1840 con il conseguimento della laurea in medicina e chirurgia presso la Reale Università di Napoli.

Da quanto scritto dai suoi biografi sembra che, durante la sua permanenza a San Chirico, si sia perdutamente innamorato di una nobildonna del paese, la bellissima Carmela Barletta. Non è dato sapere, però, se fu un amore corrisposto e se tale “sbandata” non fu il motivo del successivo abbandono della appena iniziata professione medica; il poeta, quindi, abbandonò il Collegio medico e si dedicò agli studi di giurisprudenza a Napoli.

 Nel periodo qui trascorso, Nicola Sole frequentò famosi salotti letterari della città. Fece conoscenza di eminenti personaggi nell’ambito dei circoli liberali che iniziò a frequentare, fra cui il francese Alphonse de Lamartine, poeta, storico e politico, con il quale condivise idee politiche e passione per la poesia.

 Completati gli studi, nel 1845, dopo essersi laureato in giurisprudenza o come soleva chiamarsi al tempo, in utroque iure, si trasferì a Potenza, dove esercitò la professione di avvocato. Le sue capacità oratorie furono determinanti per la risoluzione di importanti questioni giuridiche.

 A Potenza manifestò ben presto il suo impegno politico partecipando alla rivoluzione del 1848,  acclamando pubblicamente la necessità di un nuovo ordinamento giuridico e accogliendo con entusiasmo la notizia che Ferdinando II di Borbone aveva concesso la Costituzione.

 In quell’anno, pubblicò la sua prima raccolta di poesie, L’Arpa lucana ed alcune altre liriche (Ai Siciliani, A Carlo Alberto, A Vincenzo Gioberti, All’Italia) di contenuto squisitamente politico, nelle quali espresse desiderio di riscatto ed incitazione alla rivolta contro il regime borbonico che, dopo la breve esperienza costituzionale, aveva operato una progressiva stretta in senso assolutistico. Per questo motivo divenne inviso ai regnanti e fu coinvolto in diversi processi che lo costrinsero a fuggire ed a vivere in latitanza per un lungo periodo, tra il 1849 ed il 1852. Solo nel 1853, su pressione da parte del fratello sacerdote, Sole si costituì chiedendo ed ottenendo l'amnistia.

 Deluso da questa esperienza, si ritirò a Senise, dove visse in completo isolamento, dedicandosi esclusivamente alla lettura e allo studio nel Convento dei Cappuccini di proprietà della sua famiglia. Si dedicò alla traduzione dei classici greci e latini e portò in prosa la Divina Commedia ed il Cantico dei cantici. Tre anni dopo il suo trasferimento a Senise, sempre per motivi politici, il poeta fu accusato di far parte della Giovine Italia e venne incarcerato a Lagonegro ed a Potenza. Terminato il periodo di reclusione, rientrò nel suo paese natale. Nel luglio del 1857, ottenuto finalmente il “lasciapassare”, grazie al’intercessione di Achille De Clemente, direttore de «L'Iride», poté tornare a Napoli, dove la collaborazione alla rivista spiccatamente antiborbonica gli assicurò una vasta notorietà.

 Il 16 dicembre di quello stesso anno un disastroso terremoto devastò la Basilicata. Addolorato per le distruzioni della sua terra, Nicola Sole, approfittando della sua collaborazione alla rivista Iride, fece pubblicare una collezione di poesie, i Canti, per devolverne il ricavato alle vittime del sisma. In esse il poeta esprimeva il dolore e la speranza di rinascita della sua terra.

Commovente fra queste è la poesia che il poeta nel 1857 dedicò al Viggianense che ritornava e trovava il suo paese distrutto dal terremoto di quell’anno: 

Non mi chiedete lieti concenti, - ché mesta è l’anima del Viggianense! – Trovai la morte lungo i torrenti del mio paese! – Siccome un nido di rosignoli – cui fra le rose présse il villano – deserto e muto nei suoi quercioli dorme Viggiano.

  La raccolta gli assicurò vasti apprezzamenti in Italia e all’estero, tra i tanti, i poeti Gino Capponi e Niccolò Tommaseo.

Durante la lunga permanenza a Napoli, il poeta ebbe modo di stringere importanti amicizie tra le quali Benedetto Croce, Mercadante e Giuseppe Verdi, ed altri personaggi conosciuti nei circoli e negli ambienti culturali che ebbe modo di frequentare.

A Verdi, in particolare, fu legato da una sincera e fraterna amicizia che il grande musicista ricambiò con profonda stima ed ammirazione per la sua poetica. Verdi in quel periodo si trovava a Napoli nella speranza di mettere in scena per la prima volta al Teatro San Carlo la sua opera Il Ballo in maschera. I divieti imposti dalla censura del Regno e la conseguente controversia con il Teatro San Carlo, per la mancata  rappresentazione dell’opera teatrale, lo amareggiarono al punto che lasciò suo malgrado Napoli, imbarcandosi su una nave a vapore che salpava per Genova. A salutarlo accorsero i suoi più affezionati amici tra cui Nicola Sole che compose per lui l’ Addio.

Rientrato da Napoli, Verdi ricambiò l’omaggio del poeta musicando la sua poesia “La preghiera del poeta”.

 


 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

                                            il testo:

Del tuo celeste foco, eterno Iddio,

un core accendi, che di te si allieta;

Tu reggi, tu consacra il verso mio,

perché non manchi a generosa meta.

Dal dubbio salva e dal codardo oblio

La fede e l’arpa dell’umil poeta:

Tu fa che il trovi della morte il gelo

La man sull’arpa e le pupille al Cielo!


 

 

  Nel 1859 Sole abbandonò Napoli perché amareggiato dalle incomprensioni e dalle aspre critiche di importanti personaggi - politici e letterati - che professavano idee liberali i quali giudicarono in modo assai aspro il poeta, definendolo un “incoerente borbonico”, per aver celebrato le nozze di Francesco II con Maria Sofia in uno spettacolo di gala che si tenne al teatro San Carlo. Lo spettacolo si aprì, infatti, con un la Danza inaugurale scritta da Nicola Sole e musicata da Saverio Mercadante.

 Non è dato sapere se il ritiro a Senise avvenne a causa dell’amarezza e della delusione provata in questa circostanza, ovvero se il poeta già accusasse i primi sintomi della malattia, la tubercolosi,  che lo portò alla morte l’11 dicembre 1859 a solo trentotto anni.

 La città di Senise nel 2009 ha celebrato i 150 anni dalla morte del poeta con un grande concerto durante il quale la professoressa Maria Teresa Imbriani dell’Università della Basilicata ha ricordato che “Nicola Sole è considerato uno dei più importanti poeti minori del 1800. Nelle sue poesie troviamo elementi che coincidono con la sua epoca e che quindi sono un’importante testimonianza storica oltre che culturale, dall’esaltazione dell’italianità e con essa della lucanità, all’attenzione delle piccole cose del quotidiano”.

L’arte poetica di Nicola Sole ebbe giudizi alquanto contrastanti dalla critica letteraria: Francesco De Sanctis lo giudicò con eccessiva severità definendola mediocre, mentre altri come Bonaventura Zumbini la decantò forse eccessivamente. Un giudizio più sereno lo espresse il cattedratico fiorentino Giovanni Mari nel suo lavoro “Nicola Sole e la Basilicata dei suoi tempi”. Il Mari, concordando in parte con il negativo giudizio del De Sanctis, lodò il suo intento di aver declamato la bellezza della sua terra con sentimenti veri e meglio di altri che che tuttavia ebbero fortune migliori (Lettere di Paolo Costa a Clementina degli Antonj  - Il Classicismo ed il Romanticismo).

Paolo De Grazia, illustre cattedratico di storiografia, che il poeta conobbe a Napoli durante la sua permanenza in quella città, scrisse nel libro dedicato alla Basilicata: ”nessuno meglio di Nicola Sole ha saputo ispirarsi alle glorie dell’antica terra della Lucania e derivarne luce e colore per i suoi canti”. Prova ne sono esempi i bellissimi canti in cui rievocò i tempi gloriosi della Magna Grecia:

O Magna Grecia qui fosti! Questo mar fu specchio a le tue scole cittadine, ai tuoi interrogati oracoli profondi, ai tuoi sonanti portici” ,

o quando, inneggiando all’Italia, esorta:

“Esci, o Lucania, dalle tue foreste - nella tenuta maestà primiera:- congiungi il brando alla tua falce agreste - sotto il favor dell’itala bandiera …” .

Le liriche di Nicola Sole, pur in uno stile e con un linguaggio che rispecchia i suoi tempi, conservano una loro freschezza che suscita nel lettore apprezzamento e condivisione  del suo amore per la terra natia.

 

Note

L'articolo è pubblicato anche sul n. 2/2020 de L'Orizzonte di San Chirico R.

Il ricordo della permanenza di Nicola Sole è tratto dal libro di Gaetano De Nile “Medici di San Chirico Raparo (Pz) dal 1300 ai giorni nostri”;

L'immagine dello spartito è pubblicato su “Basilicata” di P. De Grazia 1916;

Il ritratto del poeta è tratto da Internet.

 

 


 

 

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