giovedì 31 dicembre 2020

LA STORIA DEL PEPERONCINO, storia di un business mancato

 

 

Il peperoncino (capsicuum annuum) è una specie arborea originaria dell’America meridionale utilizzata in prevalenza per usi alimentari come spezia per aromatizzare i cibi.

Pur se notizie, in verità di fonte poco attendibile, confermerebbero che il peperoncino era già conosciuto ed usato in Messico migliaia di anni prima di Cristo, la storia fa risalire la sua diffusione ai secoli XV - XVI quando fu importato in Europa dal continente americano a seguito delle prime spedizioni oceaniche.

Uno dei motivi che spinsero gli europei a questa folle corsa sugli oceani che caratterizzò quei secoli,fu principalmente la tratta degli schiavi e il commercio delle spezie, in modo particolare del pepe, che era al tempo molto apprezzato ed impiegato sia in cucina che per la preparazione di essenze e medicinali.

Le spezie in genere erano utilizzate già nell’età fenicia e romana. Nel trattato di cucina di Apicio si attesta, infatti, che le spezie avevano un ruolo importante comparendo in moltissime delle ricette ivi proposte.

Il loro grande consumo fatto era legato non solo a fattori di gusto quale la predilezione per cibi dai sapori forti e contrastanti ma anche alla convinzione che le spezie favorissero la digestione “cuocendo” i cibi nello stomaco. Le spezie erano inoltre utilizzate come fattore conservante e coprente per i cibi. Esse giocavano un ruolo di rilievo finanche nell’immaginario collettivo favorendo fantasie di ogni genere che portavano ad attribuire loro il fascino di ignote felicità. La riprova di quanto affermato può desumersi dal nome di “grano del paradiso” attribuito al pepe.

L’alto costo e l’elevato valore commerciale facevano delle spezie dei veri e propri status-symbol oltre a far loro assumere valori surrogatori della moneta: ciò avveniva principalmente per il pepe.

Le grandi vie del commercio delle spezie avevano come centro vitale Bisanzio, dove i mercanti occidentali ricevevano i prodotti giunti dall’Oriente con carovane arabe che li barattavano con manufatti del continente europeo. Le carovane di cammelli risalivano dai paesi arabi verso nord su itinerari praticati per i pellegrinaggi alla Mecca. La periodicità dei viaggi era scandita dallo spirare regolare e periodico dei monsoni verso est o verso ovest di sei mesi in sei mesi.

Nel medioevo con le crociate si aprirono nuove vie al commercio delle spezie. I porti di approvvigionamento si avvicinarono fisicamente ai luoghi di produzione con l’apertura di empori strategici in Siria, a Damasco e Antiochia.

Quando i Turchi occuparono l’Asia minore il commercio delle spezie fece capo a Cipro e Trebisonda. La presenza di predatori sulle tradizionali vie commerciali le rese insicure e l’esigenza di ridurre i costi di acquisto delle spezie spinse alla ricerca di nuove vie per raggiungere i mercati di provenienza.

Si ripresero le vie del periplo africano abbandonate alla fine del secolo XIII procedendo passo dopo passo ad esplorare tutta la costa dell’Africa occidentale fino a quando Vasco da Gama, raggiunta Calicut sulla costa occidentale dell’India, compì il periplo del continente africano.

Alla fine del secolo XV le esplorazioni geografiche furono coronate da un’impresa di eccezionale importanza per la storia della civiltà umana: la prima traversata dell’Oceano atlantico ritenuto per tradizione invalicabile. L’impresa fu compiuta da Cristoforo Colombo che con la spedizione del 1492-93 partì da Palos con tre navi fornite dal governo spagnolo e il 12 ottobre toccò un’isola delle Bahamas, poi scoprì Cuba ed Haiti credendo di essere giunto nell’Asia orientale.

Le successive spedizioni di Colombo e di molti altri navigatori che si misero sulla sua scia, portarono a riconoscere che le terre via via scoperte, estese in un lungo arco da nord a sud, non erano parte dell’Asia, ma costituivano un Nuovo Mondo.

La scoperta dell’America di Cristoforo Colombo che permise di raggiungere le Indie orientali per vie non tradizionali al fine di importare le preziosissime spezie a costi contenuti e per vie al sicuro dalle minacce dei Turchi, fu ritenuta da tutti un’impresa marinara di eccezionale portata per il fatto che con essa si apri veramente un’epoca nuova. L’impresa comunque ebbe risultati pratici modesti se non proprio fallimentari, se si pensa al notevole investimento fatto dal governo spagnolo che finanziò l’impresa con due milioni di “marvedì”, (nome della moneta castigliana), pari a 4330 ducati d’oro, cioè 18.5 Kg. di metallo prezioso, tre navi due delle quali avevano una stazza di 60 tonnellate mentre la ter-za era di oltre 100 tonnellate, 90 uomini di equipaggio.

La storia della traversata oceanica è contenuta nelle lettere e relazioni di Colombo e nel diario di bordo tenuto da Bartolomè las Casas, il cosiddetto “Libro de las Memorias”, nel quale questi narra le esperienze di viaggio e soprattutto la scoperta di piante quali il mais, la manioca, la patata, il fagiolo, il pomodoro, l’avocado, l’ananas il peperone ed il peperoncino.

Il Las Casas nel descrivere il peperoncino, narra che esso veniva consumato dagli indigeni e rileva l’abbondanza con cui era rinvenuto esprimendo un giudizio così positivo da ritenerlo più importante dello stesso pepe nero che era allora una spezia pregiatissima importata dall’oriente. Il peperoncino chiamato dagli indigeni “ajì” fu ribattezzato “Pepe d’India”. Uno storico spagnolo del Cinquecento, José de Acosta, distingueva per primo fra varietà piccanti con intensità diversa. Scriveva che esiste una varietà di “ajì” particolarmente forte, detta caraibica, che brucia e morde violentemente. Un’altra, invece, dolce e quasi soave che si mangia a grandi bocconi.

Dopo appena una cinquantina di anni dalla sua introduzione in Europa, l’impiego del peperoncino piccante si diffuse in tutto il vecchio Mondo dove oltre ad essere coltivato ed utilizzato sia come droga che come medicinale, veniva pure largamente impiegato per la sua proprietà di conservare i cibi, proprietà particolarmente apprezzata nelle regioni a clima caldo. Introdotto dai Portoghesi nel sud-ovest dell’India, ben presto poi il peperoncino si diffuse in tutto il continente asiatico e, nel XVII secolo, la sua coltivazione si estese a tutte quelle zone a clima caldo adatte a riceverne la coltura.

Da un punto di vista economico l’adattabilità del peperoncino a territori e zone diverse non fu certamente un vantaggio per i suoi importatori. Infatti veniva a cadere, almeno in par-te, l’aspetto della rarità, che invece contraddistingueva il pepe e ne giustificava il prezzo elevato.

Così in breve tempo dall’entusiasmo e l’interesse che inizialmente il peperoncino aveva suscitato, andò diminuendo fino a che ad esso fu attribuito l’appellativo di “droga di tutti” o più significativamente di “droga dei poveri”.

A confermare il mancato business dell’importazione del peperoncino abbiamo la testimonianza di Nicolò Monardes, autore nel 1500 di un famoso trattato “Sulle cose che vengono portate dalle Indie Occidentali pertinenti all’uso della medi-cina” il quale scrive che il peperoncino si usa esattamente come le spezie aromatiche “che si portano dalle Molucche” ed aggiunge che la differenza è che “quelle costano molti ducati et quest’altre non costa altro che seminarle”.

Il particolare aroma di questo frutto riusciva, infatti - ad un prezzo praticamente nullo – ad insaporire anche le mense più povere, al punto che pietanze dal sapore insignificante trovavano nel peperoncino un momento di esaltazione e quindi di appetibilità. Questa proprietà, unita a quella di conservante naturale, ha contribuito in maniera determinante alla diffusione del peperoncino diffuso a tal punto che si stima che esso sia, dopo il sale, il condimento più usato nel mondo.

 *  Tratto da “Un peperoncino per amico” di Giuseppe Ferrara, Ed. Universitalia, Roma 2016 e pubblicato anche sulla rivista trimestrale L'Orizzonte.


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